Lo scorso 24 ottobre Casa Shakespeare a Verona ha ospitato “Ismael”, spettacolo reduce di non pochi successi al Fringe Festival di Roma.
” Sono clandestino, le parole significano quello che significano ” dice ridendo Ismael ( Massimiliano Frateschi ), profugo siriano, e lo dice nella sala di attesa di un ufficio immigrazione romano. Lo sguardo assorto nel vuoto, quello di chi sa che ha visto e perso tutto.
Sedie ed un numero di attesa illuminato, è questa l’essenziale scenografia di Ismael, uno spettacolo di sessanta minuti retti interamente dal suo protagonista.
Un monologo dell’attore rivolto al pubblico, pubblico che sembra quasi impersonare gli altri individui presenti, o non, all’interno della medesima sala di attesa del protagonista. Un tentativo di dialogo a cui non si sa nemmeno se queste persone rispondono ma per Ismael non conta, in quanto il suo bisogno di raccontare va oltre.
Sarà proprio su questo bisogno di confronto, dialogo e comprensione dell’altro che si basa questo spettacolo vincitore del premio “Migliore Attore“, “Fondazione Fersen” e “della Critica” al Fringe Festival di Roma 2024. Spettacolo scritto, oltre che recitato, da Massimiliano Frateschi e diretto da Graziano Piazza; una rappresentazione più che mai attinente alla attuale rassegna Unlocked di Casa Shakespeare che pone l’incontro con l’altro e le sue difficoltà come tematica fondamentale.
” Io mica ti voglio togliere cibo, te lo voglio dare” dice Ismael, continuando “non voglio rubarti il lavoro, ne voglio un altro, voglio essere produttivo” dice al pubblico, riferendosi a discorsi fin troppo comuni che ha sentito pronunciare.
Lui che è fuggito da casa sua, la Siria, dalla sua città, Damasco, fuggito da una guerra che non sembra avere fine, un conflitto protratto nel tempo, a cui ormai l’occidente sembra aver fatto tristemente l’abitudine. Ismael è qui, davanti a noi, e lo fa sbattendoci in faccia una verità inequivocabile di cui sappiamo senza voler troppo sapere. Una verità che fa male, proprio perché ancora troppo drammaticamente attuale.
Per raccontare Ismael usa l’ironia, l’ironia tragica di cui ci si smaschera per difesa, per affrontare un dramma troppo difficile da esprimere a parole; il vero orrore di chi ha visto con i propri occhi una bomba uccidere vite, un regime sopprimere il proprio popolo, il potere viscerale di terrore e disperazione unirsi insieme.
Un dolore che la mente non può tollerare se non armandosi di un’armatura potente ma necessaria come l’ironia…”e fatti na risata no?” dice Ismael in tono semi-sarcastico ed un accento arabo-romano frutto del suo ultimo periodo passato nella capitale.
Ci guarda e parla della situazione politica del suo paese: del regime di soppressione tramandato da Assad padre ad Assad figlio, della lotta costante ed osteggiata dell’esercito libero, cita anche l’ISIS anche se ” io non li ho mai visti” dice. Ci racconta del suo primo amore, quello con una ragazza del suo paese, morta sotto le bombe… ” tanto era soltanto un primo amore, non vale” dice Ismael guardandoci con gli occhi lucidi, nel tentativo di sdrammatizzare per difesa ciò che è insopportabile anche solo da ricordare.
Parla poi di suo fratello maggiore, costituente dell’esercito libero, segregato per venticinque giorni insieme a lui in prigione, un luogo fatto di orrore, percosse e paura. Perché in fondo “puoi dire quello che vuoi ma quando arriva il momento non vuoi morire” afferma Ismael con lo sguardo perso nel buio.
Poi la sua fuga dalla Siria, “dal cielo non dal mare“, una fuga che gli ha creato due cicatrici: una per un rene venduto così da poter avere i soldi necessari, l’altra per la ferita procurata mentre stava nascosto nella stiva dell’aereo.
Infine il suo arrivo in Italia, della paura con cui spesso la gente lo guarda, del sospetto che possa essere un terrorista venuto a creare orrore, lui che dal orrore ci voleva solo scappare.
” Io mica ti voglio togliere cibo, te lo voglio dare…non voglio rubarti il lavoro, ne voglio un altro, voglio essere produttivo” ripete guardandoci Ismael, dicendo che “anche Gesù era clandestino, anzi il più clandestino di tutti” e che a lui, ribadisce, interessano tutte le religioni. Ismael infatti significa “profeta” e lo dice orgoglioso come se questa fosse la sua missione: quella di creare incontro e confronto con l’altro, anche se quest’ultimo ci fa paura.
La missione di avvicinare e aprire al dialogo dove il dialogo talvolta non è possibile. Creare vicinanza ed empatia con il prossimo e i suoi drammi, al fine di comprendere non commiserare. Comprensione per chi è nato solo dalla “parte sbagliata” e non merita questo.
Massimiliano Frateschi, si cala con rispetto nell’interpretazione di una sofferenza mai ostentata, con un perfetto equilibrio tra spigliata ironia e sofferto dramma. Combinazione estremamente funzionale al suo racconto come l’accento arabo- romano che non cade nel facile rischio macchiettistico.
La rottura della quarta parete con il pubblico avviene spesso e si mostra elemento essenziale per la messa in scena; le luci cambiano di colore ed intensità, donando anche una certa spiritualità nei momenti più intensi del racconto.
Ismael, il cui nome significa profeta, ci insegna che cercare di comprendere ed accogliere il prossimo in difficoltà è senza dubbio il gesto più difficile quando a sopraffarci sono la paura e l’odio. In un momento in cui il terrore sembra prendere il sopravvento Ismael ricorda che il dialogo e il confronto restano l’unica inesorabile soluzione per restare umani.
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Ismael, interpretazione e sceneggiatura di Massimiliano Frateschi, regia di Graziano Piazza, aiuto regia di Aleksandros Memetaj. Produzione La Gabbia Teatro – Casa Shakespeare di Verona 24 ottobre
Foto ed immagine copertina: ©Bianca Hirata.