di Elena Salvati
Ai Giardini della Filarmonica di Roma, come unica data estiva, il Signor G si presenta nelle vesti di due interpreti, Maria Teresa Pintus e Marco Zangardi. Lei, la Canzone, lui il Teatro, creando così il Teatro Canzone. Talvolta si incontrano, si scontrano e si alternano, raccontando unitariamente e in forma graffiante l’Uomo e le sue debolezze, le sue scelte convenzionali, l’attenzione stucchevole al successo (anche in disparte dal talento), la politicizzazione come grottesca piega dell’agire umano, perfino quando si tratta di dover decidere di spostare una sedia.
Viene sottolineata la natura arrogante dell’Uomo, vittima della sua ipocrisia avvilente di sentirsi diverso da tutti, perfino da sé stesso, nel rifiuto della propria immagino allo specchio. Qui ci si avvicina pericolosamente alla concezione Pirandelliana che la verità in fondo non esiste, ma…”Io sono perfetto è il mondo che è sbagliato!”. Da qui a non riconoscere più il prossimo nel viandante di notte nel pezzo La Paura il passo è breve. Siamo sull’orlo di quel precipizio dal quale scorgiamo I mostri che abbiamo dentro”, capaci di generare il malessere permanente, raccontato nel pezzo Mi fa male il mondo e che ci impedisce di spiccare il volo come in Anche per oggi non si vola.
L’irriverenza dei monologhi e delle canzoni viene sostenuta da una musica dal vivo, eseguita impeccabilmente dal gruppo in scena, con una particolare persistenza a volte delle percussioni, quasi a evocare la giungla delle metropoli (effetto evidente nell’ esecuzione della famosa Com’è bella la città, laddove il paradosso dell’inconsapevole precipitare dell’Uomo nel vortice grigio della standardizzazione, sta proprio nell’esortazione ripetuta dell’esodo verso la città), ma anche nei passaggi successivi, dove ad essere stigmatizzata è l’ossessione maniacale del consumismo. La scelta registica operata ha preferito privilegiare la dimensione strettamente umana dei contributi “gaberiani”, tralasciando quella di natura politica. Allora, nella seconda parte, immancabile è la tematica dell’amore in tutte le sue declinazioni, a cominciare dalle perversioni narcisistiche e dall’inesorabile balbuzie relazionale che caratterizza gli incontri tra i due generi raccontata nel magnifico pezzo Quando sarò capace di amare.
La band – composta da Andrea Moriconi alla chitarra nonché Direttore musicale e autore degli arrangiamenti, da Fabio Landi al basso e da Valerio Cosmai alla batteria – trasforma ogni canzone in un momento di ribellione e il sound ben si allinea ai testi di Gaber. Le luci fanno da coerente involucro delineando delle geometrie ben precise attraverso un gioco di illusioni perfettamente in grado di distinguere ogni argomento intrapreso.
Insomma, “Il Signor G” della regia di Marco Belocchi, conferma quanto il Teatro Canzone di Gaber attraversi tematiche universalmente attuali, con un occhio da acuto osservatore e da veggente, finestra presaga del Futuro, proprio come capitava ai Poeti Maledetti.
In ogni caso, lo spettacolo lascia un bagliore di speranza sostenuto anche dalle luci di Mauro Buoninfante, perfino evocando una categoria che viene sempre considerata come scomoda, fuori luogo e come d’intralcio per la società contemporanea perché ritenuta inutile e poco produttiva, ma capace di vedere la realtà con occhi coraggiosi e differenti: è l’esercito dei soli, capace di emanciparsi dai richiami della moda e del dovere convenzionale e forse ad affermarsi come speranza di innesco dell’Uomo Nuovo.
IO MI CHIAMO G – Testi Giorgio Gaber e Sandro Luporini – Adattamento Marco Zangardi e Marco Belocchi – Con Maria Teresa Pintus e Marco Zangardi – Direzione musicale, chitarra e arrangimenti Andrea Moriconi – Basso Fabio Landi – Batteria Valerio Cosmai – Luci e fonica Mauro Buoninfante – Foto e Grafica Maria Letizia Avato – Giardini della Filarmonica Romana sabato 22 luglio