Giulia Vanni trasforma il dolore in teatro vivo: a Teatrosophia un monologo che fa ridere, piangere e ripensare la vita dalla radice
Ci sono parole che fanno paura. Così pesanti da sembrare impronunciabili, come se bastasse nominarle per sentirne tutto il peso, tutta l’angoscia che contengono. Il cancro è una di queste. Si aggira come un’ombra, si insinua tra sguardi evitanti, frasi di circostanza e silenzi pieni di disagio. Eppure c’è chi quell’ombra ha deciso di affrontarla a viso aperto. E, incredibilmente, anche di riderci sopra.

È quello che accade in Da fuori tutto bene – Il can-can del cancro, monologo teatrale andato in scena a Teatrosophia la sera del 6 giugno scorso, nell’ambito di Inventaria 2025 – La festa del Teatro Off. Scritto e interpretato da Giulia Vanni, con la co-scrittura di Daniele Fabbri, questa pièce un’opera sincera, travolgente, che riesce a parlare della malattia più temuta con una sorprendente miscela di leggerezza, intelligenza e ironia pungente.
Già il titolo suggerisce una verità spesso taciuta: quella maschera che indossiamo per sembrare “ok, va tutto bene” agli occhi degli altri, mentre dentro si combatte una guerra feroce. Giulia quella maschera la strappa via con un atto dirompente. Con coraggio e sincerità, racconta la propria esperienza personale. E lo fa senza filtri, con un’energia scenica potente e disarmante.
La Vanni è una forza della natura, una vera mattatrice capace di dominare il palcoscenico senza mai perdere un briciolo di autenticità. Non recita: vive, vibra, incarna. La sua prova attoriale è intensa, coinvolgente, equilibrata tra dramma e ironia; passa con disinvoltura dalla battuta brillante al momento più toccante, coinvolgendo lo spettatore in un’altalena emotiva sincera.
Non c’è una “quarta parete” a separarla dal pubblico: Giulia guarda negli occhi chi ha davanti, ci parla, quasi lo interpella, con il solo sguardo, chiedendogli. “Ehi tu! Se accadesse a te, cosa faresti?”. Non permette a nessuno di restare spettatore passivo: lo spettatore è parte della narrazione, immerso nel flusso della storia, chiamato a reagire, riflettere, emozionarsi.
La sua è una storia vera. Un percorso autobiografico che va dalla diagnosi alla rinascita, raccontato con ritmo incalzante e toni che alternano la tenerezza al sarcasmo, la rabbia all’assurdo. Si parla di medici distratti, labirinti burocratici, frasi fatte, consigli non richiesti e di quell’insopportabile “ce la farai” che pesa più di qualsiasi silenzio.
Ma si parla anche di amore. Di affetti che resistono. Di amicizie che si rinsaldano. Di vita, che – dopo uno strappo così – cambia volto. Perché il cancro, in questo spettacolo, non è solo una malattia: è un detonatore di consapevolezze. Le priorità si riscrivono, la scala dei valori si ribalta. E se mai ce ne fossimo dimenticati, Giulia ce lo ricorda: il nostro bene deve tornare al primo posto. Nei rapporti familiari, nella cura verso gli altri, ma soprattutto in quella verso noi stessi.
Le interruzioni tra un personaggio e l’altro, i cambi d’abito, i registri che mutano, non spezzano il racconto: creano attesa, sorpresa, complicità. Lo spettatore viene traghettato da una scena all’altra con leggerezza e curiosità, e si ritrova a ridere di situazioni surreali un attimo prima di sentire un nodo alla gola. L’empatia che l’attrice riesce a creare è straordinaria. Ogni risata è un atto liberatorio, ogni commozione è condivisa. È un racconto spudorato, necessario, in cui il dolore viene attraversato senza pudori, e restituito con delicatezza e umanità.
Il valore dello spettacolo va ben oltre la dimensione teatrale, questo lavoro è parte di un progetto di sensibilizzazione più ampio, sviluppato in collaborazione con l’Associazione L’Albero dalle molte vite e sostenuto dalla Komen Italia – storica associazione impegnata nella prevenzione e nella lotta contro i tumori al seno – con l’obiettivo di portare questa storia tra i giovani, nelle scuole.
Lo scopo è chiaro: educare sin da subito a riconoscere la fragilità, a non fuggirla, ma a reagire con consapevolezza, empatia, coraggio. Perché di fronte a qualcosa che spaventa, questa cosa si può affrontare, raccontare, vivere. Senza vergogna, senza solitudine. E, a volte, perfino con una risata.
Al termine della rappresentazione, il pubblico di Teatrosophia ha tributato un lunghissimo applauso, forte, sentito, sincero. Un’autentica ovazione, per un’attrice che ha messo tutto sé stessa in scena e per un progetto che ha un’anima potente, sociale, umana. Un tributo meritato, non solo alla bravura della Vanni, ma al coraggio di trasformare una ferita in condivisione, una paura in un ponte verso gli altri.
Da fuori tutto bene – Il can-can del cancro è un’esperienza, un abbraccio, uno schiaffo, una carezza. Una storia personale che si fa collettiva. È il promemoria che ridere, anche nel buio, è un atto di resistenza. Un modo per dire: siamo vivi, anche quando ci sentiamo in frantumi.

Da vedere, da ascoltare, da portarsi dentro. Non perché racconta la malattia, ma perché ci ricorda cosa significa stare bene davvero: prendersi cura di sé, dei propri affetti, della propria vita.
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Da fuori tutto bene – Il can can del cancro – di Giulia Vanni e Daniele Fabbri, con Giulia Vanni
Illustrazioni | The Sando | Styling | Karma B, in collaborazione con Associazione L’Albero dalle molte vite, produzione Valdrada Teatro, co-produzione Teatro Valmisa, con il sostegno di Le città possibili Festival e Associazione Teatro del Lido di Ostia, Inventaria 2025 La Festa del Teatro Off, XV edizione, Teatrosophia 6 giugno 2025
Foto di ©Grazia Menna