INTERVISTA AD ANTONIO SALINES: IL TEATRO COME MISSIONE

Un breve dialogo sulle sorti del teatro italiano, attraverso gli indimenticabili ricordi del più vecchio gestore di teatro dEuropa, tra le pesanti macerie del nostro passato e le grandi figure, che ne sono state protagoniste.

ANTONIO SALINES è un attore e regista diplomato nel 1959 all’ “Accademia d’Arte Drammatica Silvio D’Amico”di Roma. È direttore artistico del Teatro Belli di Roma dal 1969 e fondatore, insieme a Magda Mercatali, della compagnia del Teatro Belli nel 1970.

Potremmo definire quella del Teatro Belli (rilevato da Lei nell’ormai lontano 1969) una storia di fantasmi. Da convento a teatro ottocentesco, da luogo di “prigionia” della femme fatale Lorenza Feliciani a locale notturno. Negli ultimi cinquant’anni il Belli ha assunto un nuovo volto (grazie anche agli onerosi interventi di ristrutturazione), che sembra tuttavia rimandare ancora a un antico e, per certi versi, oscuro passato. Eppure, ad oggi, si sta scrivendo un nuovo capitolo di questa “storia di fantasmi”: la “trasvalutazione” del teatro in streaming. Che posto assume questo nuovo volto del Belli nell’economia complessiva della sua storia passata?

Il Belli per me non è stato soltanto un teatro, ma una missione: è stato lo sforzo maggiore della mia vita. Allora facevo molta televisione, venivo da una popolarità abbastanza importante, ma non potevo comunque permettermi le spese per la restaurazione (la cifra ammontava a quaranta milioni di Lire). Allepoca ero il compagno di Magda Mercatali, la quale mi aiutò moltissimo in questo sforzo notevole, insieme a molti amici come Gian Maria Volonté. È stata una grande impresa, che mi ha segnato per tutta la vita.

 Abitavo a Trastevere già da qualche anno, quando vidi questo teatro abbandonato. Chiedendo un po in giro, scoprii con stupore e meraviglia che su quel palco, ormai sommerso dalle macerie, avevano recitato attori pazzeschi come Gustavo Modena, Ermete Novelli, Lina Cavalieri ed Ettore Petrolini.. Mi ricordo che quando mostrai il teatro a Gian Maria Volonté, lui mi mise una mano sulla spalla e mi disse: Coraggio. Era distrutto, divelto, non cerano fili elettrici, sembrava che fosse precipitata al suo interno una bomba. Non so cosa mi abbia fatto proseguire, in ogni caso una spinta fortissima, che mi ha permesso di andare avanti. Il teatro non è di mia proprietà (in quel caso sarei un benestante!). Allora ledificio era dellOpera Pia e solo in seguito è passato alla Regione, mentre attualmente è di proprietà di unaltra società. Facemmo un accordo economicamente vantaggioso con gli ex-proprietari, a patto che mi impegnassi a portare avanti lintero lavoro di restauro a mie spese. Una follia per cui è valsa la pena, perché se alla fine c’è una cosa di cui sono orgoglioso nella mia vita è questo teatro.

I progetti in streaming sono stati possibili grazie al prezioso aiuto dei miei collaboratori Carlo Emilio Lerici e Francesca Bianco (attualmente responsabili della gestione del teatro, sul piano tecnico), che hanno voluto sperimentare questa nuova modalità. Fosse stato per me – devo essere sincero – non avrei mai provato. A mio avviso, un attore è tale non semplicemente perché ha un pubblico davanti a sé, ma perché è il pubblico a dirigere lattore. Per parafrasare un celebre regista russo, un attore recita diversamente con il pubblico, questultimo riesce a dargli una sensibilità e un approccio ulteriori, senza cui sarebbe a metà. Il teatro si differenzia proprio in questo dalla televisione e dal cinema. Se il pubblico fosse stato presente, forse qualcosa di diverso sarebbe accaduto, certamente, recitare con le platee vuote risulta unesperienza assolutamente differente.

La rassegna Trend ci permette, anche grazie alla trasmissione in streaming, di finanziarci e  saldare attori e compagnie. In questo dobbiamo essere riconoscenti ai giornali, anche online, che ci danno attenzione e grazie ai quali riusciamo a sopravvivere. Per tutte queste ragioni, ben venga anche allo streaming, che tuttavia mi auguro rimanga circoscritto ad eventi sporadici e a fini pubblicitari.

Si diploma nel 1959 presso l’ Accademia dArte Drammatica Silvio DAmico di Roma, un’istituzione che all’epoca incarnava il senso più profondo dei moti di ricerca, che animavano lo spirito d’innovazione artistica (e non solo) dell’epoca. Se dovesse guardare con gli occhi del “ribelle” a quel glorioso passato, cosa direbbe all’istituzione accademica di oggi?

Per permettermi di fare lAccademia, nonostante avessi una borsa di studio, mia madre mi inviava da La Spezia pacchi di cibo, mentre io le rimandavo indietro i miei panni sporchi. Ho creduto enormemente nellAccademia, tanto che non solo incorniciai il mio diploma, ma lo dedicai  proprio a mia madre. Ho fatto lAccademia con un amore unico, non si può descrivere quanto io le abbia dato e quanto abbia creduto in questa scuola, che era animata da figure come Volonté, Orsini, Occhini: è stata una fucina di grandi attori. Tuttavia, ciò che mi chiedo sullAccademia di oggi è per quale ragione non insegnino degli attori e come mai  ad insegnare siano tecnici e teorici, ovvero persone che non centrano affatto con il teatro. Solo gli attori possono insegnare agli attori, ai miei tempi avevamo insegnati del calibro di Gassman e devo ammettere, con rammarico, che fatico a riconoscere lAccademia di oggi. Forse il mio è un limite detà – lo ammetto – ma a mio avviso, a differenza di quanto avviene allestero, la centralità degli attori è stata dimenticata in quasi tutte le accademie italiane.

Il Teatro Belli è stato prima di tutto – e solo il Covid ha avuto il terribile potere di sovvertire questa tradizione – un luogo d’aggregazione comunitaria, nucleo fisico e spaziale, ancor prima che spirituale, di assembramento popolare: un luogo di festa. I “Noantri” sono ancora una volta i dimenticati, reietti invisibili non più a causa delle loro umili origini, ma in quanto artisti. I lavoratori dello spettacolo sono i “noi altri” per eccellenza e i direttori dei teatri sembrano essere le figure più dimenticate e, al contempo, con maggiori responsabilità morali ed economiche. Come è cambiato il suo lavoro a seguito della pandemia? I “Noantri” possono ancora aspirare ad essere amici giurati e gelosi della solitudine […] con prosceni e quinte che nessuno riuscirebbe a percorrere sino alla fine?

Se il Belli non fosse stato a Trastevere non sono affatto sicuro, che avrei preso in gestione un teatro. Qualche anno fa, mi sono imbattuto in un libro sulla storia dei teatri romani, che mi ha colpito molto. Si raccontava qui di un teatro in piazza San Cosimato gestito da un imprenditore, tra la fine dellOttocento e gli inizi del Novecento. Oggi, dopo cinquantanni di esperienza sulle spalle, mi considero il più vecchio gestore di teatro dEuropa e confesso di essermi rivisto molto in questa figura. Era uno dei primi comunisti, nonché uno dei primi gestori di teatro, che a San Cosimato organizzava, oltre a spettacoli teatrali, le prime riunioni sindacali, fino a quando, probabilmente per motivi politici, non fu allontanato dal suo stesso teatro. Purtroppo, non sono mai riuscito a individuare lesatta collocazione del teatro, nemmeno gli abitanti più anziani di Trastevere ne conservano un ricordo. Dopo essere stato mandato via, decise di prendere in gestione il Belli, che al tempo era una chiesa. Ci tengo a ricordare che al Belli è oggi conservata una lapide commemorativa – salvata, allepoca, dai rifiuti e dalle macerie – intitolata a Garibaldi, che fu eletto proprio qui; nonché una bandiera – purtroppo oggi perduta – del primo Partito Comunista Italiano.

I Noantri per me rimangono gli abitanti di Trastevere. Quando ho aperto il teatro cera un pubblico affezionato proveniente dal ceto medio, ormai pressoché scomparso. La storia del Gabanelli mi ha fatto ripensare a una frase di Brecht, che cito spesso: Sono come quello che con se portava sempre un mattone, per mostrare al mondo comera stata un giorno la sua casa. Porto con me questo mattone, che nel caso di Brecht era riferito alla guerra, mentre nel mio rappresenta le macerie, gravide di storia, del Belli. Il mio unico rammarico sarebbe assistere, dopo di me, allabbandono di questo teatro, a causa di controversie burocratiche, che anche legalmente ci occupano da tempo. Quando ho preso questo teatro ho lottato continuamente per tenerlo in vita, ormai ci ho fatto il callo, sono abituato e non ho paura di niente.

Qual è il più grande insegnamento della drammaturgia britannica, che con così grande cura e attenzione è sempre stata al centro della programmazione del Belli? È possibile che l’antica nozione di catarsi assuma qui una nuova forma, attraverso l’accettazione del fallimento e non rinunciando mai al senso comunitario, politico ed educativo del teatro?

Quando presi in gestione il Belli, mentre vantavo già una certa fama di attore, lallora direttore del Teatro Stabile di Bolzano mi disse: Ricordati che con un teatro così piccolo (con soltanto centocinquanta posti) ti potresti rovinare la carriera, perché in Italia chi sta nel piccolo, rimane nel piccolo. E, purtroppo, ebbe ragione. Ho cercato (invano) di smuovere le cose, invitando, ad esempio, attori del calibro di Proietti. Probabilmente, con un teatro più grande le cose sarebbero andate in tuttaltra maniera, ma non ho nessun rimpianto. Avessi avuto un teatro di mille posti, cosa sarebbe cambiato nella mia vita? Chiaramente, nulla. Francamente, si può dire di essere in pace con sé stessi, quando si sono fatte le proprie scelte, senza accettare nessun compromesso, facendo ciò che ci appassiona e collaborando con grandi figure, come è stato nel mio caso. Come attore ho ricevuto parecchi complimenti: se ho sviluppato nel tempo la capacitàdi recitare in modo molto naturale, lo devo alle dimensioni ridotte del Belli. Di fatto, questo teatro mi ha fatto diventare un interprete più raffinato, vero e sincero.

Dentro ai personaggi della drammaturgia britannica c’è qualcosa della catarsi e del fallimento, poiché si tratta di figure che, nonostante non si muovano più nella dimensione eroica della tragedia greca, quanto piuttosto in quella del fallimento, sono capaci di mettere in scena un qualche tipo di catarsi: oggi è proprio in questi personaggi apparentemente miseri, che la gente ha bisogno di rispecchiarsi. Questo è un aspetto straordinario della drammaturgia britannica, dovuto alla continuità storica e letteraria messa in opera dai suoi autori, che sono riusciti, da Shakespeare ai giorni nostri, a tenere alto il livello della loro tradizione. Qualcosa che noi, in Italia, non siamo stati capaci di fare, basti pensare allincolmabile vuoto che separa Goldoni da Pirandello. Gli inglesi rimangono, a mio avviso, gli autori più significativi nel panorama teatrale odierno, come testimonia il grande successo della rassegna Trend. Persino ora, che siamo in streaming, abbiamo avuto un riscontro davvero positivo, raggiungendo, in alcuni casi, quasi duecento spettatori a sera. Nonostante il prezzo del biglietto sia al momento assolutamente simbolico, la partecipazione del pubblico rimane un gesto importante, che testimonia un sempre rinnovato interesse per il teatro.

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