Elisabetta Villaggio, da giovane comparsa nei film del padre a scrittrice di successo. Con il suo ultimo lavoro: “Fantozzi dietro le quinte” (edito da Baldini+Castoldi) ha voluto raccontare nel privato Paolo Villaggio, raccogliendo inedite testimonianze di chi ha condiviso con lui i tanti set e momenti di vita personale. Un artista che attraverso il personaggio del Ragioniere Ugo Fantozzi denuncia “comunismo, cattivi e megapresidenti”, nato dalle pagine dell’ex settimanale “L’Europeo” fino a prendere forma in una saga di film cult che hanno segnato positivamente il pubblico italiano. Elisabetta cita l’infanzia del giovane Paolo a Genova, la nascita del suo unico vero amore, quello della moglie Maura, gli inizi di carriera negli umidi scantinati a Trastevere, le amicizie vere con Gassman e De André. Poi i momenti cupi dove solo il cibo poteva soddisfarlo, il suo ritiro dalle scene e da questo mondo. Questo ed altro è ciò che la sua amata figlia Elisabetta Villaggio ha raccontato del padre, e ora a “Quarta Parete” lei si è raccontata in un breve intervista, molto umana.
Da cosa nasce l’idea di scrivere questo libro?
Allora questo libro, negli ultimi tempi, dopo che mio padre non c’era più, spesso ci sono state persone che mi hanno chiesto aneddoti o particolari su una certa scena o su alcune scene dei film e su alcune cose mi sono resa conto che anche io non ne sapevo niente. Cioè non niente, però: “quando hanno girato quella scena lì?!”, in effetti, boh, non lo so ecc. Quindi ho pensato che fosse carino lasciare una specie di memoria storica, per il futuro e anche per me stessa, e poi ho voluto raccontare, dal mio punto di vista: quindi prima da una bambina, poi di un’adulta come ho visto, come vedevo mio padre, che da persona assolutamente sconosciuta, con un lavoro normale poi è diventato… ha avuto grande successo con Fantozzi.
Il personaggio che ha reso celebre suo padre è quello del Ragioniere Ugo Fantozzi. Quanto Fantozzi c’è in lei?
In me?! Mah, in me no! (ride) In me non credo sinceramente.
Anni fa le venne chiesto cosa le ha insegnato suo padre più di tutto, lei nel libro risponde “la felicità”. Cosa pensa abbia insegnato Paolo Villaggio al pubblico italiano?
Spero che al pubblico italiano abbia insegnato a prendere le cose con una certa leggerezza. Perché pesantezze, difficoltà nella vita ci sono, nel mondo ci sono, più, meno, un giorno di più un giorno di meno… tanto non serve a niente star lì a combattere, prendere un po’ più leggerezza, un po’ più distanza è utile a tutti.
Perché lei, oltre quei camei fatti nei film di Fantozzi, non ha seguito le orme attoriali di suo padre?
Perché credo di essere negata con la recitazione (ride), poi perché… quello principalmente… non ho mai sentito il famoso fuoco dentro… ho fatto una volta uno spettacolo teatrale quando ero molto giovane, avrò avuto 19, 20 anni; e non ho sentito quella cosa: “che meravig…” No! (ride) ero più preoccupata di ricordarmi a memoria, quello che dovevo dire… quindi, no.
Spada di Damocle di tutti i figli d’arte è proprio quello di essere additati nella società come “il figlio di”, quanto ha influito questo nella sua vita?
Diciamo che un po’ me ne sono fregata, ho guardato avanti anche perché poi mio padre non ha mai voluto raccomandare e non credeva nelle raccomandazioni perché credeva che ognuno deve farcela con le proprie “zampe”. Sicuramente il primo lavoro che ho fatto in televisione, mi ha presentato a delle persone, dopo di che basta, però una presentazione, fine, poi se non andavo bene, quelli mi cacciavano ovviamente. Poi, nel lavoro, io ho lavorato tantissimi anni in televisione, diciamo che è stato il mio lavoro principale, io vedevo che all’inizio sentivo sempre: “Eh! Quella è la figlia di…”, lo sentivo, lo percepivo, perché non è che me lo dicessero. Poi me lo hanno confessato alcune persone con le quali ho lavorato insieme, che poi sono diventate mie amiche, e mi hanno detto: “In effetti all’inizio pensavamo così” (ride) e invece poi io lavoravo come tutti, se non di più, il mio lavoro lo sapevo fare e quindi…
Suo padre, come tutti i grandi, ha iniziato con il cabaret… a suo avviso, oggi suo padre lo consiglierebbe ai giovani? E lei?
Ai giovani consiglierebbe di seguire le proprie passioni e se pensano di essere dei bravi attori di andare avanti e poi se è il cabaret, teatro, cinema, televisione ma anche spot pubblicitari, va bene tutto. Finché il lavoro è onesto, per carità.
Il cabaret secondo me funziona più forse con certi ruoli un po’ comici… qualunque lavoro, anche fare una pubblicità, è comunque palestra; quindi, consiglierei di lavorare, di sbattersi, di andare avanti, questo sì.
Nel suo cassetto, ci sono altri libri?
C’è, diciamo, una mezza idea però è ancora molto mezza idea, adesso sto lavorando ad altre cose e quindi per scrivere un libro bisogna avere mente libera e tempo di fare fondamentalmente quello.