Interno Bernhard: gli spettri dell’attesa hanno maschere bianche

La scena si apre nel grave silenzio di un interno fosco, il bieco sguardo di un uomo, il silenzio di una donna. A troneggiare nello spazio desertico di un interno, i volti di Nietzsche, Wittgenstein ed Artaud osservano dai loro pannelli sospesi, l’atto che sta per aver luogo.
È l’indeterminatezza glaciale d’un horror vaqui ad aprire il sipario di il Riformatore del mondo, primo capitolo del progetto Interno Bernhard con Glauco MauriRoberto Sturno, per la regia di Andrea Barracco. Si affiancano ai due grandi attori Federico Brugnone, Stefania Micheli, Zoe Zolferino, Giuliano Bruzzese, cast che grazie alla duttilità e organicità è in grado di restituire la profondità dei personaggi e i loro radicali mutamenti dalla prima alla seconda parte. Nel passaggio a Minettiritratto di un intellettuale da vecchio, principale elemento di continuità sarà l’elemento dell’interno, luogo spaziale claustrofobico, dalle pareti invalicabili quanto duttili, luogo della mente senza possibilità d’uscita.

Il Riformatore del mondo: il disprezzo come maschera per fuggire l’umiliazione

Lo spazio si presenta come l’area feroce e scandita di un grande orologio. 5 am, 10 am, 11 am: visibili in alto sulla scena le cifre di un arco temporale ben preciso, quello dell’attesa, un attesa che percorre l’intera narrazione scenica, l’attesa dell’uomo seduto (Roberto Sturno) che torvo guarda il vuoto come cercando di scorgervi qualcosa.

Lo so, sono un ingrato, sono una peste, incorreggibile!”

Dominato da un’irrequietezza ruvida quanto sprezzante, l’uomo si rivolge alla donna silenziosa (Stefania Micheli), disserta, dissente, inveisce, evocando frammenti incompleti d’una carriera passata, oscillando vertiginosamente tra l’autocommiserazione e l’autocompiacimento.
Se la reazione della donna si limita all’immutato tacere, a tratti tinteggiato dall’ironia glaciale di una risata, il discorso del riformatore del mondo è rivolto in primo luogo a sé stesso.
Mentre il tempo si distilla, nell’attendere la delegazione ufficiale che gli conferirà la laurea honoris causa per la scrittura del celebre trattato su come salvare il mondo, l’intellettuale si strugge logorandosi nel disprezzo verso se stesso e verso il mondo. Un mondo dove tutto è malato, nulla che si salvi, dove la presunzione sembra essere l’unica arma di fronte al rischio dell’umiliazione, o forse la sua maschera.

Rifugiatosi in una nicchia silenziosa, volontariamente estraniato da una realtà esterna che ripudia, l’uomo avverte il suo stesso rifiuto, la sua voce colma l’intero spazio sonoro, reticente alle altrui interferenze, indispettito da ogni reale o fantomatica espressione di disturbo. La sua opera è stata fraintesa, un’opera che presagiva la salvezza del mondo tramite l’eliminazione dell’umano e che dall’umano è stata acclamata. Lo stesso umano che forse non l’ha neanche letta.

Il gelo della chiarezza: un breve intermezzo

Se il personaggio, varcando la soglia della consapevolezza si scopre interiormente infreddolito, glaciato dalla scoperta del vero, lo stesso accade per l’autore che, svestendosi per un istante di panni della finzione scenica esce allo scoperto rivelando le cause del malcontento dell’uomo.

“Le favole sono finite (…) non c’e piu un mondo degli spiriti”

L’uomo stesso ha distrutto la dimensione della favola, decostruendola nella sete di scoperta ma trovandosi in un mondo ormai privo di credenze si trova a fare i conti con la vastita` del suo stesso nulla. I risultati della ricerca verso la chiarezza, la fine del viaggio intrapreso per la smentita delle illusioni si fa motore primo della difficolta` che affligge la vita umana.

“Sentiamo freddo in questa chiarezza, ma questa chiarezza la abbiamo voluta noi.”

Minetti: la subdola maschera dell’arte drammatica

Lo spazio lucido e spettrale della hall di un albergo si fa preambolo per Minetti, seconda parte del progetto Interno Bernhard. Preda degli effetti dell’alcool una donna vestita di rosso ride sguaiata e frenetica nella sua posa disarticolata.

“Resistere, mettere la maschera…!”

Il suo delirio, rimasto inascoltato dal personale che impassibile non si discosta dal rituale delle azioni, si interrompe bruscamente al sopraggiungere del distinto Minetti: a vestirne magnificamente gli abiti, l’intenso Glauco Mauri più di ogni altro in grado di giungere allo scavo e all’osmosi nel personaggio.

Il suo arrivo preannuncia una lunga attesa, l’attesa del direttore del teatro, l’attesa di poter recitare di nuovo Shakespeare, dopo trent’anni. La sua valigia contiene una maschera, simbolo della sua esistenza eternamente votata, sacrificata all’arte drammatica.

La sala, il luogo circoscritto dove il tempo sembra moltiplicarsi dall’interno, non e altro che il riflesso indeterminato di una spazialità piu` grande. I suoi contorni si allargano quando d’improvviso si realizza uno squarcio nel fondale rivelando le tinte oniriche di un ambiente vermiglio.

Il retroscena, ora svelato, si popola di creature grottesche che si lasciano andare a risate beffarde: deridono la tragedia allestita dall’uomo, il mascheramento da lui indossato per attribuire un senso alla propria esistenza.

Il contenuto della valigia, dapprima gelosamente celato viene ora svelato davanti agli occhi increduli di una ragazza, gli spettri dalle maschere bianche danzano ora liberi dall’illusione che li relegava. Il vecchio è di nuovo solo, una nuova attesa.