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Innocenti sponde sommerse, l’oscuro incanto di Bly all’Opera di Roma

In scena la seduzione dell’orrore gotico con “The Turn of the Screw – Il giro di vite” del compositore Benjamin Britten, che racconta la morte e corruzione dell’innocenza in una dimora isolata e tenebrosa.

Si respira il profumo lacerante dell’inquietudine al Teatro dell’Opera di Roma, che dal 19 al 28 settembre ospita le tinte gotiche dell’opera lirica The Turn of the ScrewIl giro di vite di Benjamin Britten, tratta dal racconto omonimo di Henry James. Un allestimento vittoriano ma allo stesso tempo minimalista e con sprazzi di modernità, curato dall’affermata regista Deborah Warner, che scardina e decostruisce le certezze del rigore tradizionale, lavorando su una storia di paura e identità ed entrando in simbiosi con una musica claustrofobica e destabilizzante, che a sua volta evoca una condizione di ambiguità sensoriale: l’incapacità di distinguere lo stato allucinatorio dall’esperienza soprannaturale.

Ph ©Fabrizio Sansoni

Un viaggio emozionante negli abissi dell’oscurità il portamento elegante e la voce riconoscibile di Ian Bostridge, tenore lirico britannico che si contraddistingue per un timbro soave e trasparente. Trasmette una fragilità eccentrica e sofferta e sul palco ricorda per intensità e carisma, nonché singolarità stilistica ed espressiva, l’attore Benedict Cumberbatch. Bostridge apre nel prologo le danze dell’assurdo in quanto narratore, ma ben presto si rivela più che un semplice cantastorie: è Quint, il fantasma che corrompe il piccolo Miles. Una fusione di ruoli voluta fortemente dalla regista, che esalta e immortala con l’illuminazione delle luci un Quint-Narratore etereo e viscerale, l’oscuro faro di Bly.

Se l’istitutrice del soprano Anna Prohaska porta sul palco il timore di una nuova casa e una rigidità che sfocia in ansia e preoccupazioni, i due bambini, Zandy Hull e Cecily Balmforth, rispettivamente Miles e Flora, sono un uragano di estro ed energia. Vivaci, creativi, irrefrenabili. Giocano, lottano, inventano. Dei talenti che non rimangono nell’ombra e fanno scintille sull’imponente e autorevole palco su cui si esibiscono. Il soprano Emma Bell (Mrs Grose) con la sua voce dolce e accogliente riscalda e avvolge, è quella stabilità e persona di fiducia che rasserena la giovane istitutrice, seppure invano. Infine non si può non menzionare il mezzosoprano Christine Rice, una Miss Jessel che sfoga tutto il suo straziante e febbrile dolore in un crescendo di tenebra e tempesta interiore.

Deborah Warner cattura l’essenza della tenuta di Bly destrutturandone l’architettura, eliminando gli orpelli e optando per una scenografia moderna che non intacchi però la natura ottocentesca dei costumi e dell’atmosfera gotica. Così travi di legno, le fondamenta dell’edificio, volteggiano in aria in uno spazio vuoto e buio, che rappresenta l’isolamento di questo luogo. Sospensione, solitudine e instabilità. Con questa messa in scena potente ed evocativa la Warner distilla Bly e ne amplifica la natura spettrale e il malessere interiore che rappresenta. L’innocenza annega tra le sue mura e la musica di Britten è un funereo incrementarsi di tensione e sfumature orchestrali inquiete, con un tema a dodici note che ritorna costantemente in variazioni sempre più angoscianti.

Un prologo e due atti tra loro simmetrici: una struttura regolare che trascina nel terrore. I costumi ottocenteschi affidati a Luca Costigliolo si interfacciano con la modernità di alcuni strumenti adoperati con ponderatezza e senza mai affievolire il pathos vittoriano, come lo schermo srotolato funzionale a mostrare il viaggio dell’istitutrice. Le scene sono di Justin Nardella, che appunto attinge al suo minimalismo simbolico ed espressivo, costruendo sottotesti anche attraverso un gioco di luci e ombre marcato curato da Jean Kalman. Sfruttata al meglio la verticalità per indicare evanescenza, trascendenza e immaterialità. Protagonista di questa messa in scena l’oscurità, modellata e adoperata al meglio, dal cui fondale emerge la vegetazione del giardino. A dirigere l’orchestra è Ben Glassberg, estimatore di Britten che come prima opera diresse proprio la sua Rape of Lucretia.

Potente, magnetico, suggestivo. Uno spettacolo che incanta e inquieta, ponendosi in continuità con il successo del gotico e dell’horror nel mondo del cinema e della serialità televisiva. Pensiamo solo a quanta bellezza decadente ha ispirato proprio Il giro di vite di Henry James: The Others di Alejandro Amenàbar, che esaspera in modo affascinante e d’effetto le premesse del romanzo, sovvertendo ulteriormente certezze e gettando lo spettatore nello stesso spaesamento dei personaggi; The Haunting of Bly Manor di Mike Flanagan, che dopo il successo di The Haunting of Hill House, con delicatezza e maestria rivisita in chiave moderna il mondo di Bly rivitalizzandone successo e fascinazione.

Ph ©Fabrizio Sansoni

Adesso è un luogo di somma maestosità artistica come il Teatro dell’Opera di Roma ad abbracciare i chiaroscuri di Henry James e Benjamin Britten e a rivelare attraverso i fantasmi del passato le incertezze e la precarietà del presente e, in definitiva, dell’essere umano.

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The Turn of the Screw (Il giro di vite) – Musica Benjamin Britten – Opera in un prologo, due atti e sedici scene, Op. 54 – Libretto di Myfanwy Piper, dall’omonimo romanzo breve di Henry James – Direttore: Ben Glassberg – Regia: Deborah Warner –  Ian Bostridge (The Prologue / Quint) – Anna Prohaska (Governess ) – Zandy Hull (Miles)  – Cecily Balmforth (Flora) –  Emma Bell (Mrs Grose) – Christine Rice (Miss Jessel) – Scene:  Justin Nardella – Costumi: Luca Costigliolo – Luci: Jean Kalman – Movimenti di scena Joanna O’Keeffe – Orchestra del Teatro dell’Opera di Roma – Teatro dell’Opera dal 19 al 28 settembre 2025

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