In morte di un poeta napoletano

Ricordo di Enzo Moscato, il piΓΉ pasoliniano degli scrittori partenopei

di Francesco Esposito in collaborazione con Fausto Nicolini

𝑃𝑒’ π‘π‘œπ‘π‘β€™ β€˜π‘’ π‘™π‘œπ‘”𝑔𝑒, π‘π‘’’ π‘ π‘œπ‘‘𝑑’ β€˜π‘’ π‘π‘Žπ‘›π‘›π‘’ π‘ π‘‘𝑖𝑠𝑒,

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Enzo Moscato ci ha lasciato. Se n’è andato senza colpi di scena, senza alcun fracasso, in punta di piedi, con la solitaria discrezione nota a chi lo conosceva; quella che lo ha sempre contraddistinto: la stessa che lo ha mantenuto fuori dal coro. Lui, colto poeta solista, Γ¨ stato sin da subito associato ad Annibale Ruccello e Manlio Santanelli, esponente di quel fenomeno autorale che la critica battezzΓ² identificandolo come la Nuova drammaturgia post Eduardo. Quasi contemporaneamente i tre iniziavano a scrivere di teatro, mentre il vivente monumento eduardiano continuava a intimidire, anche inconsciamente, ormai da decenni: il suo teatro, il suo modo di far teatro, il suo successo planetario quasi metteva soggezione ai giovani che si apprestavano a scrivere per il palcoscenico. 

Dei tre, senza togliere meriti e allori agli altri, Moscato Γ¨ stato l’autore piΓΉ originale, con una cifra e uno stile piΓΉ personali. A differenza di Ruccello, ad esempio, che ha operato la sua innovazione attraverso una profondissima ricerca sulla lingua napoletana, Moscato ha reinventato un modo di scrivere, soprattutto ha ideato il suo mondo per riscrivere il Teatro napoletano, cambiandone gli orizzonti, modificando i punti di vista. Ha avuto la forza – che oggi risulta essere quasi una prepotenza – di uscire dal manierismo eduardiano, per trovare le sue piΓΉ intime partenze e i suoi arrivi nei personaggi descritti piΓΉ che nelle storie raccontate. Archeologo delle viscere piΓΉ profonde della nostra sapienza, ha creato un linguaggio riesumandolo dall’anima di una lingua che – pur essendo dentro di lui e dentro di noi – avevamo dimenticata; e l’ha fatta esplodere come fa un fuochista con le granate colorate quando in cielo brillano i fuochi riflettendosi in mare. La scrittura inedita e rivoluzionaria di Moscato, Β«luogo dell’incontro-scontro tra culture diverseΒ», Γ¨ stata impastata con la carne, con il sangue, lo sperma, l’acqua e la terra della triplice cittΓ  AlthΓ©nopis/Partenope/Neapolis: quella esposta alla luce (forse ancora non bagnata dal mare), quella misteriosa del sottosuolo (sempre piΓΉ nascosta e segreta) e quella invisibile, sporca, oscura dei bassifondi, illuminandola come una tremula fiammella. Ma calda, purificatrice, necessaria.

Nel 1986 muore tragicamente, all’improvviso, Annibale Ruccello. La Napoli teatrale e culturale ne Γ¨ sconvolta. Da poco Isa Danieli aveva portato al successo il suo Β«FerdinandoΒ» e l’eco della scomparsa di Ruccello fu per Moscato, che fino a quel momento aveva appena seminato i germi della sua nuova poesia teatrale (Festa al celeste e nubile santuario, il lavoro piΓΉ applaudito) fu ingiustamente oscurato dal risalto che la morte aveva donato al suo amico e collega. I riflettori si accesero su Ruccello morto, discostandosi da Moscato vivo, il quale fu costretto quasi a ricominciare per riconquistare il ruolo che gli competeva. Annibale ed Enzo, figli di una stessa cultura, hanno scelto due strade differenti per parlare di Napoli. Il primo piΓΉ morbido, il secondo piΓΉ aspro. Un dualismo che si ripeteva in riva al golfo, dopo che anni prima era stato proposto, in maniera del tutto simile, da Raffaele Viviani e da Eduardo.

A leggere bene la sua opera si puΓ² dire che Moscato Γ¨ stato anche e soprattutto un autore ricco di fedeltΓ  intellettuale nei confronti della propria cultura, a cui non ha mancato di restituire sincera riconoscenza. In molti suoi lavori, infatti, si puΓ² riscontrare l’allusione, il particolare, il riferimento, l’ispirazione, l’omaggio al teatro di ogni tempo: da Goldoni (Le doglienze degli attori a maschera), ad Artaud (Magnificenza del terrore), da Eduardo (TΓ -kΓ i-TΓ ) a Jerry (Ubu re) e tanti altri commediografi e artisti. Uno su tutti, perΓ², ha segnato il suo percorso di scrittore, quel Pier Paolo Pasolini che riecheggia in ogni ambiente dipinto dalla penna di Moscato.

Visionario, narratore, ironico, dissacrante, leggero, irriverente, colto cantatore profetico, irripetibile genio libero e signore del dramma, con Enzo Moscato si chiude un capitolo importante della nostra storia teatrale: lo scrivo con dolore e commozione, convinto che la fiammella della sua poesia di scena continuerΓ  a vibrare, illuminandoci di Fantasmi e di Giovani spiriti.

𝑁𝑖𝑒𝑛𝑑𝑒:

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π‘π‘’π‘›π‘§π‘–π‘’π‘Ÿπ‘– π‘β€™π‘Žπ‘π‘π‘Ÿπ‘’π‘π‘–π‘Žπ‘›π‘œ, π‘π‘’Μπ‘›π‘›π‘’π‘Ÿπ‘’ –

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π‘ π‘’π‘™π‘Žπ‘šπ‘’π‘›π‘‘π‘’ π‘π‘’Μπ‘›π‘›π‘’π‘Ÿπ‘’…

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Enzo MoscatoΒ (Napoli, 20 aprile 1948) Γ¨ morto, dopo una lunga malattia, sabato 13 gennaio 2024, all’etΓ  di 75 anni. Intesa la sua attivitΓ  di drammaturgo: ha lasciato oltre sessanta opere per il teatro, collaborando anche ad alcune sceneggiature. È stato anche attore, soprattutto interprete dei suoi personaggi.

Foto di copertina: Enzo Moscato