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Il Vino e Suo Figlio: “padre Noè” e il padre alpino

Nel suggestivo, intimo spazio del teatro Villa Lazzaroni, sulla via Appia, Enrico Bonavera mette in scena una doppia parabola legata dai fili conduttori del vino e della figura paterna

Tra gli episodi della Genesi di cui si parla nella cultura e nelle scuole, l’Ebbrezza di Noè è uno di quelli che tende a passare in secondo piano. Tutti conoscono Noè, la vicenda dell’Arca e degli animali fatti salire a bordo due a due, e le grandi stirpi europee che discesero dai suoi figli. Ma l’evento che segue la fine del diluvio, e il volo della colomba della pace, tende a cadere in sordina. 

Enrico Bonavera

Nello spettacolo di Enrico Bonavera Il vino e suo figlio, tratto da Il navigatore del diluvio di Mario Brelich, si riporta attenzione su tale evento, e di conseguenza sulla figura del vino quasi personificata. Il narratore della storia è il figlio primogenito di Noè, Sem, capostipite del popolo semita e figura di responsabilità, che si prende cura del padre nel pieno della sua ebbrezza. Lo spettacolo presenta sin da subito il suo tono con una cover jazz di Evenu Shalom Alejem, canzone ebraica popolare, che – accompagnata ai classici abiti vaudevilliani e alla spoglia sceneggiatura, che non viene mai riempita – apre a un tono brechtiano, sospeso tra la malinconia riflessiva e una trascinante joie de vivre. 

In altre parole, lo stato d’animo perfetto per assaporare un bicchiere di vino. 

Il vino rappresenta, nell’economia de “Il vino e suo figlio”, un anello di congiunzione tra sacro e profano. Qualcosa che eleva l’uomo oltre i limiti dell’umanità tramite l’estasi e l’ebbrezza, ma che allo stesso tempo “abbassa” e fa dimenticare persino la famiglia che ha accompagnato attraverso un’apocalisse.

Il peso biblico della grande alluvione viene sollevato fino al cielo. Il grande patriarca Noè, salvatore dell’umanità, si trasforma in una figura a volte patetica, irresponsabile, smarrita in un mondo tutto suo e irraggiungibile anche per il figlio che ne testimonia le vicende. Una parabola personale che viene comunicata con leggerezza, ma con il senso della tragedia quotidiana di ciò che accade.

Il momento – o meglio i momenti – in cui il sistema del monologo mostra le sue debolezze si manifesta nelle “demolizioni” del sacro e i passaggi che fanno riferimento alla Bibbia. Non è una brutta idea nel vuoto, ma molto meno originale di quanto l’autore sembra pensare – l’idea di un Jahvé dissacrato, colloquiale e privo dall’aulica distanza che si assocerebbe a una figura divina è già stata trattata in passato – basti pensare all’indimenticabile “Aggiungi un posto a tavola“, oltre a vari prodotti animati per adulti – e, nonostante susciti simpatia, non sorprende. 

Dovendo scegliere tra divino e umano, è l’umano a prevalere: e questo si verifica anche nello spazio ristretto de “Il vino e suo figlio”, nel momento in cui il protagonista non è più il biblico Sem, ma la sua “controparte” umana, l’interprete Enrico Bonavera, che lega la storia dell’Ebbrezza di Noè alla propria vicenda autobiografica. Bonavera è figlio di un “vecchio alpino”, una sottocultura molto vicina al mondo dell’alcolismo e della passione per la bevuta di gruppo, e il ritratto che ne dipinge è molto più vivido, completo, e con un dolore tangibile. 

Aiuta in questo il “tocco di colore” rappresentato dalle canzoni tradizionali degli Alpini che si sentono in accompagnamento. “Là nella valle c’è un’osteria, l’è l’allegria di noi alpin […] E se son pallida come ‘na strassa/vinassa, vinassa e fiaschi de vin”. La musica e le parole dipingono un quadro non solo completo, ma molto più empatico. Anziché un Dio che si abbassa a uomo vediamo un uomo e basta, ma così vicino da sentirne quasi il fiato avvinazzato.

Enrico Bonavera

Il vino e suo figlio è un progetto interessante, che esprime in ogni battuta e lazzo la profonda personalità dell’autore. Lo spazio limitato del set e della narrativa, oltre a trovate artistiche non molto originali, limitano il suo scopo di intrattenimento; non manca tuttavia il cuore, e la personalità innegabile di Bonavera basta a mantenere l’attenzione fino alla fine. 

Il vino e suo figlio – di e con Enrico Bonavera – tratto da Il navigatore del diluvio di Marco Brelich – Teatro Villa Lazzaroni giovedì 8 maggio

Foto di scena: ©Marco Macchiavelli

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