Hettie MacDonald dirige il film tratto dal romanzo della Joyce
Harold Fry ha avuto un’esistenza difficile e dolorosa. La vita non è stata generosa con lui. Da quando è in pensione si intuisce che le sue giornate sono piatte e monotone: grigie come il cielo della provincia inglese. Lui, ormai, da routine, si occupa di andare a buttare la spazzatura, mentre la moglie sa bene come passare l’aspirapolvere. Una mattina riceve la lettera di un’amica che gli confida di avere un tumore all’ultimo stadio; e con quelle poche righe si appresta salutarlo. Harold prende carta e penna e le risponde; chiude la busta ed esce per andare a imbucarla, ma durante il breve tragitto fino alla cassetta postale, la lettera che stringe tra le mani comincia bruciargli l’anima. Si ferma a riflettere pochi istanti, passa in un negozio e, raccolta un’osservazione della giovane cassiera, senza nemmeno tornare indietro a prendere il cellulare e sorvolando perfino di avere una moglie che lo aspetta a casa, prosegue e va dritto – irrazionalmente – pronto a percorrere 800 chilometri a piedi per andare a salutare l’amica in fin di vita.
L’imprevedibile viaggio di Harold Fry è l’adattamento cinematografico dell’omonimo romanzo di Rachel Joyce che cura anche la sceneggiatura; la regia è di Hettie Macdonald; Harold è interpretato magistralmente da Jim Broadbent. È un film di grande sensibilità costruito sul valore della fede: una virtù, quella del nostro protagonista, che, sia chiaro, non ha nulla della fede religiosa, e forse neanche vuole essere una fede laica, piuttosto una fede intima e umana. Harold, per tutta la vita, non ha mai avuto fiducia in se stesso. Il suo peccato, direbbero con superficialità i convenzionali, è quello di essere un uomo «senza spina dorsale», «senza polso», uno che all’apparenza si lascia cadere «il mondo addosso» e non «prende mai di petto» le situazioni, ma dietro questa sfiducia si nasconde un dolore profondo, che solo la notizia della malattia dell’amica è riuscito a scardinare. Qualcosa di vitale s’è risvegliato all’improvviso. Nemmeno lui, all’inizio sa cosa sia accaduto. Lo scoprirà durante il viaggio, grazie alle persone che incontra, grazie al senso d’indipendenza di un cane randagio, a un giovane amico incrociato per caso, grazie alla scoperta della natura e dei suoi eventi. E grazie soprattutto al linguaggio muto e cortese del suo sorriso ingenuo e delle sue mani rugose che si distendono verso coloro che, come lui, sono anime solitarie, abbandonate e disperate, in attesa di poter confessare i propri rimorsi a chi è disposto a comprenderli in maniera disinteressata: ad Harold, per esempio, che rivela a se stesso di aver capito che camminare da soli non è così semplice come credeva.
Per una fotografia pubblicata su un giornale molti lo riconoscono lungo il tragitto e si accodano alla sua marcia, ma Harold si rende conto che la notorietà lo intralcia, lo distrae, lo irrita perché lo rallenta, e rallentare significa perdere fede. Infatti più chilometri macina, più la sua fede aumenta: una fede che non è speranza, non è dottrina, non è aspettativa, ma è soltanto convinzione. Harold è cosciente che il suo lungo pellegrinaggio lo porterà a destinazione prima che l’amica chiuda gli occhi per sempre. Quel che ancora non sa è che il viaggio lo aiuterà finalmente a ritrovare il suo dolore che, proprio lui, rinchiuse venticinque anni prima: lo riconoscerà, ne prenderà atto e in silenzio chiederà scusa di fronte alle onde del mare che tanto hanno viaggiato prima di terminare la corsa on the waste land.
____________________
L’imprevedibile viaggio di Harold Fry, film dall’omonimo romanzo di Rachel Joyce. Con Jim Broadbent, Penelope Wilton, Linda Bassett, Joseph Mydell, Daniel Frogson, Earl Cave. Sceneggiatura, Rachel Joyce. Regia, Hettie Macdonald. Al cinema
Foto di copertina: L’imprevedibile viaggio di Harold Fry © David Gennard