Soccombere è un verbo intransitivo, l’azione espressa dal soggetto non prevede il transito su di un complemento oggetto. Basta a se stessa. Esprime un atto fermo di volontà.
“Il Soccombente”, romanzo di Thomas Bernhard, ispirato al talento di Glenn Gould, nella traduzione di Renata Colorni e riduzione di Ruggero Cappuccio trova la sua forma scenica nell’allestimento della Compagnia Lombardi-Tiezzi, vista in scena al Teatro Alighieri di Ravenna il 1 marzo 2023.
La regia di Federico Tiezzi ha sapientemente dato vigore al titolo della complessa opera letteraria dello scrittore austriaco, ricalcando i contorni, quasi geometrici, precisi e definitivi dell’abbandono del sé. La vicenda, ambientata a Salisburgo, ha come protagonisti tre pianisti agli albori, allievi del corso di Vladimir Horowitz. Tra loro c’è il famoso Gould, artista eclettico e virtuoso, che segna in maniera irreversibile la psiche ed il rapporto con la musica degli altri due giovani pianisti, soprattutto di Wertheimer, che con coscienza saprà di non poter mai raggiungere il livello artistico del suo amico. Non resterà che soccombere alla tenacia brutale del genio, famoso esecutore delle Variazioni Goldberg di Bach e porre fine alla sua esistenza.
A quel talento, in realtà, così sfuggente ed imprendibile dell’arte di Gloud fa da contrappunto l’assoluta costruzione geometrica della scena che inchioda lo sguardo dello spettatore. Al centro una grande piramide in neon, ispirata – come rivelato dal regista – alla tomba canoviana di Maria Cristina d’Austria; in corrispondenza del vertice uno schermo sospeso su di un centrale Steinway, sacro feticcio del geniale musicista. Attorno ad esso si muove il racconto del Narratore (Sandro Lombardi) il Filosofo del trio degli allievi di Horowitz che dialoga in un tempo sospeso con la figura di Wertheimer “colui che soccombe” (Martino D’Amico), e una Donna (Francesca Gabucci) dai contorni sfumati, ma che più avanti nella narrazione si comprenderà essere la sorella del pianista suicida.
Si dipana per poco più di un’ora l’intreccio di diverse vite, di legami contradditori, morbosi ed evanescenti, che però hanno il comune denominatore dell’abbandono alla spietata arte dell’irraggiungibile esecutore di Bach.
“In sostanza, diceva Gloud, noi non vogliamo essere uomini, ma pianoforte, per tutta la vita sfuggiamo all’uomo che è in noi per diventare pianoforte”.
Il confronto con il genio, che carezzava la tastiera da una posizione anomala rispetto al normale, con attaccamento morboso a quel suo storico Steinway, non ha eguali e anzi estingue negli altri “senza alcun talento esistenzale”, qualsiasi passione per l’arte e la vita .
Bernhard racchiude nel suo linguaggio romanzesco, in quest’opera votata alle arti, come già in Antichi Maestri dedicato all’arte figurativa, il mistero dell’umanità, disvelata in innumerevoli sbavature, intrise di sbagli e ricalcoli, come il gesto inconscio del Narratore che durante la sua vestizione dimentica le bretelle sotto la camicia. La parola degli interpreti, che nella voce contengono le variegate inflessioni degli incisi e dei non-detti, mette a nudo lucidamente, con un sottile velo di humor nero, l’amicizia e l’amore, il sodalizio artistico e sublime che si confonde con l’odio cieco della rivalità, in una lotta a colpi duri. Ogni barlume di speranza si dissolve, se non nella forma del pensiero, più volte proiettato sullo schermo pendente nella sua forma verbale al passato remoto: ”pensai”.
Il titolo dell’opera, invece, al participio presente mostra l’infinito scorrere di un tempo irrisolto e assieme congelato, popolato da fantasmi. C’è sempre qualcosa che continua a venire meno. Dentro lo sguardo dello spettatore che soccombe alla tirannia della volontà di un abbandono si ramifica lo spettro cosciente di un silenzio: quello dell’opera di John Cage con i suoi 4’ e 33’’ eseguita come un amletico finale. The rest is silence. Inchino. Sipario.
IL SOCCOMBENTE
di Thomas Bernhard
• traduzione di Renata Colorni
• riduzione di Ruggero Cappuccio •
con Martino D’Amico, Francesca Gabucci, Sandro Lombardi
• scene e costumi Gregorio Zurla
• luci Gianni Pollini
• regista assistente Giovanni Scandella
• regia Federico Tiezzi
• produzione Fondazione Campania dei Festival – Campania Teatro Festival / Compagnia Lombardi-Tiezzi / Associazione Teatrale Pistoiese