Il secondo episodio della serie tratto dal romanzo di Goliarda Sapienza
Non delude Valeria Golino con la seconda parte de L’arte della gioia, chiudendo in trionfo, non scevro d’amarezza, la complessa vicenda di Modesta, che, come da Teorema pasoliniano su gattopardesco sfondo, riabilita ogni infamia subita, inferendo ferite altrettanto, se non di più mortali.
La protagonista Tecla Insolia guadagna punti su punti, pareggiando e a tratti doppiando il genio delle sue più celebri coprotagoniste. La sua inquieta e inquietante parabola potrebbe aprire parentesi di discutibile sociologia, nel feroce ribaltamento di ogni allarme al femminicidio, poiché le armi utilizzate dalla giovane sempre meno innocente nel corso della sua Odissea possono assomigliare e superare anche quelle dei suoi persecutori. Eppure nella conquista di questa gioia utopica solo in apparenza è ancora una sorta di spietata innocenza a vincere: nella bella che abbraccia la bestia sottraendola, seppur per interesse materiale condito di pietà oltreumana, a un destino di solitudine ed esilio, nella giovane storpia che si trova ad incarnare la chiave di una famiglia allegramente omosex e alternativamente poliamorica, nella resa del maschio custode di segreti inconfessabili che lascia andare ogni pretesa di dominio e rilascia alla terra il suo cuore in fondo contadino, nella morte della principessa Valeria Bruni Tedeschi come non mai egregia, che, come il principe di Salina, cede giocoforza il suo scettro avvelenato ad un nuovo che sa riciclare, potenziandoli, i suoi stessi strumenti di abuso e disamore, per creare sinfonia di nuova vita, rimescolando gli elementi della genealogia del luogo in un calderone di simmetrie e asimmetrie che definire sorprendente non rende giusto onore.
Dietro c’è un romanzo spettacolare, è vero, ma non sempre, anzi raramente assai, i grandi libri diventano grandi film. A volte capita e questo è il caso.
La trasposizione della spagnola in clima covid, con utilizzo per i più smaliziati di numerose metafore della mascherina già tristemente nota, anch’essa brillantemente riciclata, può creare irritazione o entusiasmo, per me ha vinto il secondo, fosse solo per l’ardire della forzatura che strappa nel dramma sorrisi di metalivello eccelso.
D’altro canto la grande sinfonia del dramma umano si svolge fuori dal tempo e dallo spazio, ricamando spirali che tra loro si intrecciano con esiti imprevedibili. Saga di debolezza e forza, di maschi e femmine fuori dagli schemi, dove l’ombra più nera stordisce di punti di luce improvvisi e la purezza assoluta si macchia di imperdonabili, stravolte ingenuità.
La gioia come danza senza esclusione di colpi, versus una panchina anonima, priva di scuse.
Attori che recitano battute ben scritte, scene immaginifiche anche nelle citazioni più o meno riconoscibili. Dunque ce la possiamo ancora fare ad eccellere con standard psicologicamente ed esteticamente internazionali.
Per chi non sostiene le quasi tre ore al cinema si attende una ripartizione ad usum contemporaneo sul canale produttore Sky. In ogni caso non perdetela, la gioia richiede sforzo, diffidare delle sbiadite imitazioni.
L’arte della gioia – Seconda parte – Tratto dall’omonimo romanzo di Goliarda Speranza – Regia di Valeria Golino e Nicolangelo Gelormini – con: Tecla Insolia, Jasmine Trinca, Valeria Bruni Tedeschi, Guido Caprino, Alma Noce – Italia 2024.