Un amico colto e sapiente, che conta qualche primavera più del sottoscritto, al termine di Certi di esistere, scritto e diretto da Alessandro Benvenuti, in scena al teatro Vittoria, ha sospirato profondamente prima di esprimere il suo pensiero da ultra-collaudato giornalista dello spettacolo: «Il teatro va aiutato». Evidentemente anche lui sentiva il peso del forte imbarazzo che opprimeva le nostre riflessioni a caldo.
Eppure, ad apertura di sipario, un gioco di luci e ombre proiettate sulle quinte di proscenio aveva fatto ben sperare. Poi si sono accese le luci e il palcoscenico sfondato ha mostrato le sue meraviglie, con le scritte sui muri del teatro (quella parte che raramente si vede), sul fondo a destra segnate le tacche poste a misura per selezionare più velocemente le cantinelle da utilizzare quando si approntano le scene, e poi le corde annodate ai sostegni, ordinatissime, che svettano tese verso la graticcia per poi ricadere sul palco e sostenere le americane cariche di proiettori e magari i fondali, e le quinte e le mantovane. Scoprire l’antro da dove s’affacciano i personaggi che ogni sera vivono i loro drammi è sempre molto emozionante. Tutto questo però è frutto, appunto, della fascinazione del teatro. Ed è per questa fascinazione – talvolta impropriamente chiamata magia – che il teatro giustamente va aiutato: per salvare il miracolo che lì avviene grazie alla penna di un autore, grazie all’inventiva di un regista e grazie alla voce degli attori, oltre al silenzioso e scrupoloso lavoro dei tecnici.
Poi, però, accade (come è successo ieri) che un attore porta cinque sedie in scena per piazzarle attorno a un tavolo, e chiunque sappia un po’ di regia teatrale fatica a trattenere un grido di ribellione: «No. Il tavolo ha quattro lati e non tre». Bisogna prendere atto che è incongruo sistemare tre sedie dietro il ripiano, e davanti niente. Tutti noi a casa abbiamo un tavolo, eppure lo usiamo su ogni lato, per guardarci in faccia, per parlarci meglio, per non sgomitarci l’uno appiccicato all’altro lasciando di fronte a noi il vuoto. Sarà estro del regista far apparire la sedia a favor di platea meno impegnata delle altre! Non si vuol comprendere ancora che gli attori studiano, oltre alla recitazione, anche il movimento (era la fissazione di Orazio Costa Giovangigli, grande maestro d’Accademia) che è soprattutto la postura del busto e delle spalle. Gli attori recitano anche con le spalle e il pubblico recepisce ugualmente. Pensiamo ad Arlecchino: quante risate è stato capace di contagiarci Ferruccio Soleri soltanto con un ammiccamento di scapola e un tic con la testa!
Per esempio, Totò… «e ho detto tutto!»
Se agli attori non gli si dà l’opportunità di far conoscenza con il proprio corpo, non affineranno mai le loro doti recitative. Invece sarebbe molto più istruttivo dar loro il compito di studiarsi, di provarsi, di affinarsi per meglio riproporsi la volta successiva.
A questo punto qualche lettore – a ragione – potrebbe reclamare la critica sullo spettacolo: vero e giusto, anzi giustissimo. Ma a volte, anche un critico, per aiutare il teatro, come ha suggerito il sapiente amico, può appellarsi alla famosa eccezione che conferma la regola.
Certi di esistere, Scritto e diretto da Alessandro Benvenuti; con Maria Cristina Fioretti, Bruno Governale, Andrea Murchio, Marco Prosperini, Maddalena Rizzi e Roberto Zorzut. Al Teatro Vittoria (Roma), fino a domenica 30 ottobre.