Il Teatro sotterraneo. Il fenomeno delle cantine romane tra i sessanta e i settanta

di Marco Belocchi

“Cantine” come spazi altri per ridefinire il teatro, per uscire dai palcoscenici sette–ottocenteschi con i palchetti e le poltroncine di velluto dove veniva attuato il rito del teatro borghese, il teatro di parola, il teatro accademico.

Questo almeno è quello che pensavano i pionieri dell’avanguardia teatrale italiana all’inizio degli anni Sessanta, quando in un periodo di grande effervescenza le istanze intellettuali e artistiche, ma anche sociali e poi politiche, bussavano alla porta della cultura dominante dando vita a movimenti che in qualche modo avrebbero segnato la storia recente. E queste linee di tendenza si intersecavano fra loro contaminando i linguaggi, artistici, letterari, teatrali appunto.

L’esigenza quindi di uscire dai luoghi deputati comincia a farsi sentire impellente, saranno gli spazi a definire da ora in poi il percorso del teatro d’avanguardia, soprattutto a Roma che ne è stato l’epicentro e dove il fenomeno si è allargato a macchia d’olio, una città che pullulava di luoghi semi abbandonati sotto gli antichi palazzi del centro storico. Vecchie cantine, magazzini in disuso, stalle ormai dismesse vennero dunque occupati e trasformati in luoghi teatrali. Un atto di protesta, di sberleffo che tracciava però inconsapevolmente una linea di rinnovamento irreversibile, un teatro sotterraneo che avrebbe minato dalle fondamenta le certezze di quello ufficiale, che al contrario di quanto si posse pensare attraversava in realtà una stagione floridissima.

Il primo a inaugurare uno spazio ‘alternativo’ fu Carmelo Bene, nel 1961 in piazza San Cosimato, a Trastevere, uno dei quartieri chiave della futura avanguardia, denominato Teatro Laboratorio, frequentato da PasoliniFlaianoMoravia, la Morante e molti altri. Qualche anno più tardi, si trasferì al Beat 72, nel quartiere Prati, in via G. Gioacchino Belli 72. Ex deposito di alimentari, il teatro si ispira nel nome proprio al movimento in voga in quegli anni. Era stato fondato nel 1966 da Ulisse Benedetti e Fulvio Servadei, e già alla fine di quell’anno, Bene lo trasforma per cominciare una vera e propria programmazione teatrale. Il rapporto si esaurirà bruscamente, ma da allora, con l’apporto poi di Simone Carella, il Beat 72 diventerà il maggiore punto di riferimento di tutta l’avanguardia romana dando spazio ad alcuni spettacoli cardine tra cui Ubu Re di MazzaliSeppellire i morti di Pippo Di MarcaLe 120 giornate di Sodoma di Vasilicò, tutti nel 1972, fino a Pirandello chi?, esordio di Memè Perlini nel 1973. 

Altro pioniere assoluto è stato Mario Ricci, che proietterà la sua linea di ricerca verso la poetica della marionetta e del teatro astratto. Apre un suo spazio nel centro storico, in vicolo delle Orsoline 15, nel cosiddetto triangolo magico che tra Via di Ripetta, Piazza del Popolo e Via del Corso fu per molti una sorta di quartiere latino, frequentatissimo dagli esponenti delle avanguardie artistiche e letterarie. L’inaugurazione avviene nel dicembre del ’64 con Movimento per marionetta sola numero due. Lo spazio chiuderà al volgere del ’67 e Ricci dopo qualche anno si trasferisce a Lungotevere dei Mellini dove nel 1969 inaugura il Teatro Abaco, altro fondamentale punto di riferimento del teatro di sperimentazione. L’Abaco ancora vive ed è tuttora sede operativa della FUIS

Sempre nel triangolo magico, Dacia Maraini, con un gruppo di intellettuali quali Moravia ed Siciliano, gestisce il Teatro di via Belsiana privilegiando un repertorio di drammaturgia contemporanea. Alla fine del ’68 la Maraini si trasferisce nel quartiere di Centocelle, uno dei primi esperimenti di decentramento culturale. Poi nel ‘73 si sposterà ancora per aprire, in una ex-tipografia, La Maddalena, punto di rifermento per tutto il movimento femminista romano per molti anni.

I teatri cantina quindi proliferavano verso la fine degli anni Sessanta per esplodere nei Settanta, soprattutto a Trastevere. Ne ricorderemo alcuni tra i più importanti: il Circolo La Fede di Giancarlo Nanni e Manuela Kustermann, punto di incontro tra ambiti disciplinari diversi, ospitò concerti, mostre d’arte, proiezioni di film d’avanguardia e ovviamente spettacoli, attivo fino al ‘72. Il Teatro Alla Ringhiera che nasce invece ad opera del drammaturgo e regista Franco Molè, in collaborazione con Leo De Berardinis. Remondi e Caporossi con il Club Teatro in via Sant’Agata de’ Goti, dopo l’esperienza al Teatro del Leopardo. Comincia anche l’attività di Giancarlo Sepe, che nel ’67 apre il suo primo spazio in via Stamira 55, presso di piazza Bologna, per poi passare nel ’72 a La Comunità, ancora attivo. E ancora Pippo Di Marca con il Meta-Teatro, prima sito in via Sora e poi nella storica sede di via Mameli; Ugo Margio con L’Aleph in via dei Coronari, Valentino Orfeo col Teatro Lavoro a Testaccio e infine Spazio Uno, fondato da Manuela Morosini nel ’71, a tutt’oggi attivo. Per finire questa breve carrellata non possiamo dimenticare La Piramide di Memè Perlini attivo tra il ’78 e i ‘93, l’Alberico dietro Castel Sant’Angelo tra il ’75 e l’82 e ancora il Politecnico di Mario Prosperi, a Flaminio, fondato nel ’73 e chiuso qualche anno fa dopo un’attività ultratrentennale. Chiudiamo questa discesa nei sotterranei della capitale ricordando il Tordinona, forse punto di congiunzione con la storia dei teatri di Roma, sede di un teatro già nel XVII secolo, frequentato poi da Pirandello e ininterrottamente attivo fino ad oggi. 

La “cantina” dunque assurge a simbolo non solo di un nuovo modo di fare teatro, ma è il luogo della diversità intesa come altro dalla ufficialità del teatro e quindi spazio-laboratorio che si reinventa continuamente. Oggi a Roma se ne contano diverse decine, aprono e chiudono con facilità e come allora occupano garage, magazzini, meno spesso umide cantine e forse si presentano con un aspetto meno catacombale, meno “maudit”, talvolta ricostruiscono perfino il palcoscenico all’italiana, con tanto di sipario, sedi magari di laboratori di formazione più che di sperimentazione vera e propria. 

La storia del teatro dunque continua.

PS. L’articolo è un estratto di un più lungo saggio che apparirà nel volume curato da Lorenzo Pompeo ed edito da Ensemble, Una certa idea di una certa città. Roma tra cinema, arte, teatro e poesia (1948-1968).

Foto di copertina: Beat 72