Si muove leggiadra nell’abito bianco, il suo sguardo è ispirato, le sue orecchie in ascolto del fruscio del vento quando scuote le cime degli alberi.
È l’amore per la conoscenza, la travagliata difesa della libertà di pensiero ad animare il discorso di Ipazia, monologo angosciato, scatenato dalla feroce intolleranza del vescovo Cirillo e dei suoi miliziani nei confronti di ogni pratica pagana.
“La proiezione delle loro paure non è Dio” – stagliata sul nero cielo dello sfondo, la donna si aggira attorno ai leggii evocando attorno a sé le atmosfere della città di Alessandria nel V secolo, luogo d’azione per “Il sogno di Ipazia” di Massimo Vincenzi, interpretato da Francesca Bianco per la regia di Carlo Emilio Lerici e proposto in streaming dal Teatro Belli di Roma.
D’un tratto, una voce fuori campo (Stefano Molinari) imprime nello spazio fraseggi tratti dai “Decreti teodosiani”, prende corpo come minaccia roboante, che scoraggi, allerti, infonda terrore a tutti coloro che non si pieghino ad essi.
Se gli astri appaiono come unico riferimento di fronte all’oscurità di una “notte che morde”, se i libri sono la sola bussola che orienti lo sguardo al loro chiarore, le ombre sembrano deformarsi, ingigantirsi dinanzi al rogo che, irreversibile, getterà fiamme sulla Biblioteca D’Alessandria.
“È solo un sogno Ipazia, devi svegliarti!”- le luci si fanno vermiglie come ad evocare le lingue di fuoco, il timbro dell’interprete si tinge d’affanno riuscendo a restituire il crescendo di dolore, il senso di incredulità e spiazzamento ma anche l’altisonanza di una mente in grado di spaziare rievocando frammenti di ricordi, trattazioni sull’esistenza, passeggere leggerezze.
Una fisicità raggiante, quella dell’attrice, veicolo di una femminilità trasversale che nelle movenze, nelle mimiche, nelle pause della voce trova il modo di imprimersi in uno spazio aleggiante tra l’onirico e il reale storico.
Raggomitolata tra i libri, Ipazia ne stringe uno al petto come fosse scudo, protezione dallo spazio magmatico dell’incendio: il suo corpo si assottiglia mentre il dolore si ispessisce, ma un’ultima verità sembra accompagnarla nel momento della morte, la speranza di un pensiero che non brucia, che a dispetto della follia umana, non può sbriciolarsi tra le fiamme.