Il silenzio grande al Diana di Napoli fino al 19 dicembre è un testo di Maurizio De Giovanni con la regia teatrale di Alessandro Gassmann. In scena Massimiliano Gallo nei panni di un famoso scrittore tutto preso dai suoi libri, che parla per citazioni e che non lascia mai la sua macchina da scrivere.
Accanto a lui la moglie Rose, interpretata da Stefania Rocca, la domestica Bettina con il volto di Antonella Morea e i figli Massimiliano e Adele, rispettivamente Jacopo Sorbini e Paola Senatore.
Valerio Primič (Gallo), è accucciato sulla scrivania davanti alla sua macchina da scrivere, nello studio arredato come un qualsiasi studio alto borghese con un’ampia libreria piena di testi. Davanti a lui la macchina da scrivere, dalla finestra alle sue spalle si intravede il dorso del Vesuvio. La porta si apre e vi entra la domestica Bettina che lo sveglia e tra loro inizia un tipico dialogo che sa di quotidianità e piccole scaramucce tra padrone e servo, un po’ alla maniera della commedia dell’arte. Valerio deve scrivere, vorrebbe trovare la concentrazione ma sembra impossibile visto il via vai di parenti che lo interromperà continuamente a cominciare proprio da Bettina che farà anche da intermezzo.
La famiglia si trova immersa in problemi economici importanti e forse la casa dovrà essere venduta, questo annuncia Rose al suo primo ingresso nello studio. I figli, Massimiliano e Adele irrompono nell’apparente quiete dello scrittore per esprimere il dolore e la brama di attenzione che hanno provato nei confronti di Valerio.
Attraverso le discussioni con i parenti, Valerio prende coscienza di essere stato un padre assente, sempre troppo preso dal suo lavoro e mai veramente attento rispetto a quanto succedeva in casa. Bettina, che origlia dietro la porta a ogni discussione interviene per aiutarlo a capire. La domestica è sì ignorante, ma anche saggia e pur non capendo le molte citazioni letterarie che Valerio snocciola in continuazione dimostra di avere un acume e un senso pratico che per esempio non appartiene a Valerio i cui voli pindarici e il suo vagheggiare un mondo più simile a un libro che alla realtà gli impedisce di vedere con chiarezza quello che succede.
Sarà proprio Bettina a condurlo in qualche modo lungo il percorso di redenzione e catarsi svelandogli una sorprendente verità.
Attraverso le parole della domestica comprendiamo il senso dello spettacolo e dello stesso titolo, il silenzio grande e fatto di tanti silenzi piccoli, di tutte quelle cose non dette che si accumulano nel tempo perché si tende sempre a stare zitti quando invece chiarirsi e dire le cose che si sentono davvero è assai meglio. Lo comprende a sue spese il protagonista rendendosi conto che il silenzio grande che lui ha creato intorno a sé ha portato a delle conseguenze nell’animo dei suoi cari. Eppure tutti parlano in questo spettacolo e parlano continuamente con Valerio ma c’è questa costante sensazione di non reciprocità che proviamo noi spettatori durante la visione.
Ad accrescere insomma il silenzio c’è il non ascoltarsi mai davvero, tutti parlano ma in realtà ciascuno parla da solo il dialogo inteso nel suo significato più puro è sterile, spento e frustrato.
Si sa che il rituale di ogni spettacolo è un momento magico esso stesso fatto di silenzi e ogni replica di un qualsivoglia lavoro teatrale è diversa dall’altra per la temperatura emotiva che comprende la sala tutta, dagli attori sul palco al pubblico in platea. E proprio rispetto al pubblico del Diana che mi sento di esprimere l’unica nota stonata della serata del 15 dicembre in cui più che di silenzio grande si è trattato di un grande brusio accompagnato dal fastidioso squillo dei cellulari.
Il pubblico, un certo tipo di pubblico che viene a teatro, dovrebbe essere recensito proprio come lo spettacolo che si va a guardare e un certo pubblico napoletano è particolarmente indisciplinato e crede, avendo pagato un biglietto, di poter fare come a casa propria.
Nel mezzo di un serrato dialogo tra Massimiliano Gallo e Antonella Morea, una fastidiosa suoneria per altro ad alto volume e che intonava ” Il coccodrillo come fa?” ha interrotto letteralmente la messa in scena. Gallo e Morea si sono fermati come ci si ferma di fronte a un applauso per aspettare che la maleducata uscisse.
Anche queste sono cose che, ahimè, fanno parte di una messa in scena teatrale, per non parlare della mia vicina di poltrona che ha messaggiato tutto il tempo senza che purtroppo nessuna delle maschere la redarguisse. Effettivamente per le povere maschere è stata una serata impegnativa e quindi neppure posso pretendere troppo però avrei un suggerimento per il futuro.
Sperando che questo pezzo venga letto da chi di dovere applicherei una regola tipo quelle che si portavano a scuola se i bambini erano indisciplinati, niente giochi se sei cattivo/a, giochi se sei buono/a.
Lì fuori ci sono tanti giovani che vorrebbero venire a teatro ma non possono permetterselo per i prezzi troppo alti per alcuni di loro e ciò non vale assolutamente solo per il Diana e gli abbonamenti under 30 senz’altro aiutano. Questi stessi giovani sono assai più disciplinati dei molti baroni e signore in pelliccia che frequentano abitualmente il teatro solo per dire che loro frequentano il teatro. Ebbene se uno di questi signori si comporta male, non spegne il telefono, messaggia durante la messa in scena oppure parlotta con il vicino di poltrona gli impedirei di accedere in sala per tipo tre spettacolo (già pagati!).
Troppa severità? O piuttosto troppa maleducazione? O per meglio dire non educazione al teatro?
Lo stesso Gallo durante i lunghi e meritati applausi finali ha redarguito il pubblico chiedendo rispetto per il testo e per l’attore che non può tornare a, cito, “recitare davanti a un Re che mangia”.
Ma non ho intenzione di chiudere questo articolo con una polemica e quindi vorrei soffermarmi sulle atmosfere dello spettacolo, sulla scena dettagliata e accogliente, sull’interpretazione a prova di suoneria (è il caso di dirlo) di tutti gli interpreti e di quel senso di malinconia e nostalgia per il passato che si prova durante la visione.
Molte persone possono riconoscersi nel silenzio grande, sia per averlo subito, sia per averlo provocato e quanti di noi hanno avuto un padre assente? Presente sì in casa ma come un fantasma, come una presenza/assenza, qualcuno che sai che è lì ma che allo stesso tempo non c’è.
Gassmann ha saputo valorizzare i temi cari a De Giovanni che qui sono esaltati e si riconoscono tutti, se avete letto almeno una volta un suo romanzo e come sempre Gassmann ha una visione della messa in scena che sa unire in qualche modo Teatro e Cinema.
Andate a teatro e spegnete i telefoni cellulari perché si perde tanta magia se non si disconnette dal digitale.