Tra il 1927 e il 1932, un’altra Italia, quella che ancora ignorava le rassegne canore televisive, ma leggeva con avidità giornali e riviste, si appassionò a un fatto di cronaca che divenne un affascinante caso giudiziario, denominato «Bruneri-Canella», altrimenti conosciuto come lo smemorato di Collegno. Il professor Giulio Canella, uno dei tanti dispersi della Grande guerra, fu riconosciuto dalla moglie in una fotografia pubblicata nel febbraio del 1927 dalla Domenica del Corriere, sotto la quale si poteva leggere di un ricoverato nel manicomio di Collegno che non ricordava più nulla di sé, nemmeno il nome. La probabile consorte andò a trovarlo, lo abbracciò e se lo riportò a casa. Dopo qualche tempo, però, una lettera anonima riaprì il caso. Il Momento, quindicinale milanese, cominciò a sostenere che lo smemorato non fosse il Canella, piuttosto il tipografo Mario Bruneri, più volte condannato per truffa e falsa personalità. Malgrado la sentenza del tribunale, in seguito, stabilì che si trattasse realmente del losco Bruneri, la signora Canella continuò a riconoscerlo e a pretenderlo come suo marito.
Da questo fatto di cronaca, il genio di Pirandello, modificando luoghi, atmosfere e identità, ricostruì per il palcoscenico (1929) il dramma dell’Ignota, immenso ruolo femminile scritto appositamente per Marta Abba. La protagonista della vicenda teatrale è Elma, amante dello scrittore Carl Salter, al contempo riconosciuta anche come Lucia, moglie dispersa anni prima di Bruno Pieri. E, da lui, lei ritorna. Quale delle due essa sia realmente a noi interessa poco: l’enigma, in quanto tale, passa in secondo piano, a vantaggio del rapporto che l’Ignota tenta di instaurare con il probabile marito che, nonostante la sua ferrea convinzione, fatica sentimentalmente a convincere lei d’essere sua moglie. In una preghiera lei lo supplica: «Sono qua, sono tua; in me non c’è nulla, più nulla di mio: fammi tu, fammi tu, come tu mi vuoi!». Lucia arriva a chiedere a Bruno finanche i ricordi che lui ha serbato di lei nella memoria, affinché possano rivivere in essa, ora, vivi di tutto quell’amore che un tempo gli donò la felicità. Una gioia che per Bruno, adesso, è palesemente rivolta al passato, perché ancora alla ricerca di una prova che confermi che l’Ignota possa davvero essere sua moglie, la stessa d’allora.
Torna il dubbio amletico: essere o non essere? Per l’Ignota, «Essere è farsi. E io mi sono fatta quella», dice confermando l’enigma sull’identità. Proprio come la Signora Ponza del «Così è (se vi pare)» che afferma: «Io sono colei che mi si crede».
Insomma, agli interrogativi sollevati da Pirandello non c’è soluzione. Ed è la risposta che Luca De Fusco vuol dare portando in scena al Quirino di Roma Come tu mi vuoi, dopo l’allestimento del settembre scorso di Così è (se vi pare) – che venerdì 17 febbraio debutterà al Sannazzaro di Napoli – per concludere il conflitto pirandelliano tra la verosimiglianza di un ingannevole gioco e la verità della vita; un contrasto già proposto anni fa con i Sei personaggi che si battono da sempre per imporre la loro verità a dispetto della finzione imputata al mestiere dell’attore.
Proprio realtà e finzione sono il maquillage di questa messa in scena che concentra sulla quarta parete le immagini proiettate (lode ad Alessandro Papa) di Elma prima e di Lucia poi: un gioco ingannevole all’occhio dello spettatore che vede il riflesso della protagonista staccarsi dalla realtà del palcoscenico per irrompere in una dimensione cinematografica. Mi piace pensare, anche se probabilmente non lo è, che si tratti di un omaggio a Greta Garbo che donò vita eterna al personaggio dell’Ignota. Così come pure le luci di Gigi Saccomandi rispolverano quelle ombre lunghe di alcune inquadrature del cinema in bianco e nero.
Tuttavia il lavoro di De Fusco, per quanto possa essere visivamente affascinante ed anche elegante, risente di qualche trascuratezza sull’uniformità della recitazione degli interpreti, lasciati a un andamento individuale più che a un equilibrio corale. La preoccupazione del regista s’è concentrata sulla protagonista; anche i movimenti dell’Ignota sono ben curati e definiti, mentre il coro resta un po’ troppo fermo a far da bassorilievo alle esuberanze della prima attrice. Così come alcuni tagli al testo hanno asciugato soprattutto le emotività del Salter. Ne risulta che pur avendo un’orchestra attoriale di dieci elementi, suona quasi sempre lo stesso strumento.
La protagonista è Lucia Lavia, figlia d’arte, impegnata in pratica in un doppio ruolo: bravissima nel primo, in cui dà prova di grande abilità dialettica e di seducente ammaliatrice danzante; meno affascinante nei panni di Lucia, troppo studiata, eccessivamente leziosa nella dizione, quando invece dovrebbe sembrare più vera e appassionata. Ottimo Francesco Biscione nel ruolo di Carl Salter.
Meriterebbe d’esser menzionato anche l’interprete di Bruno Pieri, ma purtroppo locandine e brochure di ultima generazione, anche quelle dei teatri stabili, sono talmente carenti d’informazioni che gli spettatori non devono più individuare chi sia l’attore e quale personaggio interpreti. Peccato!
D’altronde, anche questo dubbio che resta, potrebbe far parte dell’ingannevole gioco sull’identità: un enigma a tema, si direbbe. E a tal proposito mi piace concludere con una frase lasciataci dallo smemorato di Collegno, che nelle vesti del professor Giulio Canella scrisse: «La mia mente si trovava ormai sospesa sull’orlo di uno spaventevole abisso, per cui è cosa naturale che io non sia ora in grado di soddisfare la legittima curiosità di coloro che vorrebbero…» la verità, signori, la verità.
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Come tu mi vuoi di Luigi Pirandello; con Lucia Lavia, Francesco Biscione, Alessandra Pacifico, Paride Cicirello, Nicola Costa, Alessandro Balletta, Alessandra Costanzo, Bruno Torrisi, Pierluigi Corallo, Isabella Giacobbe. Regia di Luca De Fusco. Teatro Quirino, fino al 19 dicembre