“Il padre”diretto da Piero Maccarinelli: la recensione

di Miriam Bocchino

 

 

“Il padre” del drammaturgo francese Florian Zeller è un’opera teatrale che ha debuttato a Parigi nel 2012.

La sua prima italiana è avvenuta nel 2017, con la regia di Piero Maccarinelli e il cast di attori composto da Alessandro Haber, Lucrezia Lante Della Rovere, Paolo Giovannucci, Daniela Scarlatti, Ilaria Genatiempo e Riccardo Floris.

Lo spettacolo, molto complesso nella comprensione della sua messinscena, consente di entrare empaticamente nella dimensione di vita di Andrea (Alessandro Haber), afflitto da una malattia che sembra essere il morbo di Alzheimer.

Egli ha una figlia, Anna (Lucrezia Lante Della Rovere), che inizialmente, lascia il padre nella sua casa accudito da una badante. La situazione, tuttavia, si complica giacché Andrea ha un carattere difficile e diffidente che spinge la sua infermiera ad abbandonarlo.

Anna, a seguito di ciò, si trova costretta a prendere il padre con sé, nella sua abitazione, dove vive con il compagno, Piero (Paolo GiovannucciRiccardo Floris).

Sul palcoscenico lo spettatore non osserva lo scandire di un tempo logico bensì il tempo mentale di Andrea, che non riesce più a distinguere la realtà trascorsa da quella presente e tenta, perciò, di trovare un senso, accorgendosi del suo spaesamento.

C’è qualcosa che non torna” afferma spesso, nel suo alternarsi di momenti e sensazioni.

Anna gli appare giovane (Daniela Scarlatti) e poi più adulta, così come il suo compagno che tenta di persuadere la figlia a rinchiudere il padre in una casa di cura.

I volti si sovrappongono: la nuova badante (Ilaria Genatiempo)appare per Andrea molto simile all’altra figlia, Elisa, di cui egli chiede spesso non ottenendo nessuna risposta.

La malattia che progredisce gli fa sfumare i contorni, le risposte si perdono ed Andrea appare sempre più confuso e sofferente. Gli interrogativi lo divorano: qual è il suo tempo? In quale luogo dimora? Dove è il suo orologio?

L’orologio è per Andrea lo strumento con cui trovare una dimensione temporale che possa tranquillizzarlo in quel suo nuovo tempo, che vive nebuloso e confuso.

La vita amorosa di Anna, nel frattempo, risente della convivenzacon il padre, che ama molto, nonostante a volte sogni di ucciderlo dolcemente nel sonno. L’insofferenza del compagno, infatti, è viva, palpabile e a tratti “ostica”. La malattia del padre, in Anna,sembra assorbirla totalmente. Il padre, che era ingegnere e ora si professa ballerino di tip tap, si rende ridicolo e discostante e ledifficoltà nel vivere quella convivenza si manifestano.

L’opera catapulta interamente lo spettatore nella visione di Andrea: questo suscita profondo smarrimento per la comprensione del testo. Diviene complicato comprendere quali siano i momenti passati e quelli presenti, chi siano realmente i personaggi e cosa sia reale o solo frutto dell’immaginario del protagonista.

L’ironia emerge spesso nelle azioni di Andrea, che nel loro essere, a tratti, infantili e grottesche suscitano riso ma anche commozione per un uomo che ha smesso di avere piena coscienza delle sue azioni e dei suoi pensieri. Ci si chiede, tuttavia, se quell’ironia non sia esagerata e non tramuti un uomo smarrito in un uomo ridicolo.

L’interpretazione di Alessandro Haber, eccepibile nel suo interpretare un uomo totalmente disorientato, è l’unica a sostenere interamente il testo e consente di dare “tono” alla pièce teatrale. La regia, le scene (Gianluca Amodio) e le luci (Umile Vainieri), infatti, appaiono troppo essenziali e incapaci di riflettere la tensione narrativa di cui il testo si fa portavoce.

“Ho la sensazione di perdere tutte le foglie una dopo l’altra”:queste le ultime parole di un uomo che scivola lentamente e inesorabilmente nell’oblio.