Il “Nushu” ovvero la lingua delle donne nella Cina imperiale

 

di Riccardo Bramante

 

Il “Nushu” (letteralmente “scrittura delle donne”) è forse in tutto il mondo l’unica lingua inventata dalle donne per comunicare soltanto tra loro. Nata nella provincia cinese dello Hunan questa scrittura era composta soltanto da circa 700 simboli, molto più semplice degli oltre 71000 ideogrammi del cinese mandarino; si racconta che sia stata inventata da una fanciulla che, data in sposa all’imperatore e perciò prigioniera delle formalità della corte, abbia creato questa scrittura segreta per poter comunicare con le sue amiche rimaste al villaggio natio.

Al di là della leggenda, il motivo concreto per cui è nata questa scrittura è che vivendo allora le donne in una condizione di analfabetismo forzato essendo loro vietato di andare a scuola, si inventarono questa scrittura per confidarsi tra loro i pensieri più intimi senza il timore di essere capite dagli uomini e dai mariti a cui erano per tradizione sottoposte; era, cioè, un ulteriore modo in cui si manifestava quella speciale forma di solidarietà femminile detta “giuramento di fratellanza” che per tradizione si instaurava spesso tra le donne sin da ragazze e che si cercava di mantenere anche quando una di loro si sposava e si allontanava dal villaggio.

Era usanza, infatti, che alla partenza della sposa le amiche le regalassero un “libro del cuore” su cui potesse scrivere i propri pensieri e ricordi utilizzando un alfabeto molto più semplice della lingua ufficiale e conosciuto soltanto da loro; tanto segreto che negli anni ’50 con l’avvento del comunismo fu messo al bando perché ritenuto, in un primo momento, una sorta di alfabeto criptato di spionaggio.

In precedenza, una delle ultime donne a servirsi di questa lingua fu la scrittrice He Yanxin, nata nel 1940, che racconta in dieci pagine scritte sul quaderno di scuola del figlio le sofferenze subite in un matrimonio imposto dalla famiglia.

Oggi questa lingua non è più osteggiata dal governo cinese ma, anzi, si sta cercando di trasformarla in una attrazione turistica della regione meridionale dello Hunan dove è nata, anche se l’ultima donna che la parlava è morta nel 2004 all’età di 98 anni; il suo destino, quindi, è quello di rimanere relegata in un museo, magari scritta sui ricami ornamentali di ventagli e vestiti tipici della zona, come memoria delle condizioni di quasi schiavitù in cui vivevano le donne in Cina appena un secolo fa.