IL MITE INFERNO: VIAGGIO FRA LE STANZE DEL DOLORE al Teatro di Documenti

Il viaggio per l’inferno inizia da un marciapiede, non attende che il pubblico vi si predisponga: è un richiamo, quello di un coro, che lo invita ad entrare.

Visibili in trasparenza, al di sotto di un velo arancione, uno stuolo di sagome e voci: inizia il tragitto de “Il mite inferno” di Anna Ceravolo, in scena al Teatro dei Documenti di Roma e ospitato fino al 10 ottobre nella Prima Edizione del Festival di Drammaturgia contemporanea “AUT-unno d’AUTore”.

Dal fondo di una botola una donna grida in preda al delirio della malattia, sospeso a mezz’aria un ragazzo sulla sedia a rotelle racconta il suo dolore, la sua umiliazione, la sua resiliente libertà: se ad ogni stanza percorsa corrisponde la narrazione visiva di una sofferenza, è una figura- guida (Giuseppe Rispoli) a condurre il viaggiatore nell’attraversamento degli spazi, assumendo il ruolo simbolico di un “Virgilio” sapiente ed eccentrico, conoscitore delle nicchie situazionali dell’inferno contemporaneo.

La depressione ha l’aspetto della signora dal vestito sgargiante che si lancia nel vuoto attentando alla vita, forse per l’ultima volta; l’anoressia, quello di una ragazza flemmatica, immobile su cubi di legno; la povertà quella di un ragazzo sieropositivo, implorante e coperto di stracci che si strugge per la perdita del figlio scomparso: non un inferno di peccatori, suddivisi in bolge e destinati a pene di contrappasso, ma un inferno di strazio e lacerazione che nella vita, non nella morte, minaccia di dilagare.

Eppure la vita assume le fattezze della morte nei cunicoli della disperazione: quella di un cieco che da un abisso buio sente l’odore delle ferite aperte, quella di un’anziana straziata per l’utero arido e infertile, quella di un uomo fedele ad un qualche partito che, dondolandosi su una scala, ripensa con amarezza ad un’infruttuosa esistenza.

Ma dov’è il demonio? Forse nella figura del medico dalle guance rubiconde che grottescamente si adopera alla vendita di organi? Forse nel misantropo che, incastrato in un balzano rigor di correttezza, si disinteressa degli altri e del mondo?

Ricercata nei suoi costumi e stratificata nelle tinte psicologiche, l’opera si presenta come tragitto carnevalesco che, seguendo un ritmo incalzante riesce a sfruttare la totalità della struttura teatrale attraverso l’escamotage del continuo cambio stanza.

È un cast eterogeneo (Gerardo De Blasio, Gaetano Lizzio, Luca Lo Destro, Cristina Maccà, Federica Raja, Giuseppe Rispoli. E con Fabrizio Buzzini, Tommaso Ippolito, Annarita Pontone) a vivificarne le tinte espressive, a trasmettere l’energia di un racconto articolato sul susseguirsi di parti semi-individuali, che nel loro insieme rendono manifesta una più profonda coralità d’intenti.