Dall’offerta per nulla deludente, quello del Festival Romaeuropa si conferma ancora una volta fucina di una promettente generazione. Si apre così con la pioneristica regia di Giulia Odetto la sezione emergente “Anni Luce”. Dopo il successo nel 2020 alla Biennale di Venezia con Onirica, la giovane artista debutta con Il mio corpo è come un monte: vincitore del Powered by REF, il progetto della Odetto si rivela una vera e propria sfida performativa, conducendo non solo la corporeità al massimo delle sue potenzialità; ma mettendo altresì a dura prova il sistema percettivo dello spettatore.
«Voglio essere una montagna. Non come una montagna. Una montagna»: suoni soavi e penetranti, quelli che catapultano lo spettatore in un vortice percettivo atto a scardinare il principio illusorio del teatro e a sperimentare le interminabili possibilità della nostra corporeità. Quello che è il processo corporeo in seno alla performance contemporanea, qui si trova di già ad uno stadio superiore: data difatti per acquisita la propria naturalità, il corpo performativo – messo a nudo di fronte agli occhi curiosi e scettici degli spettatori – si inerpica in un viaggio verso il surreale (che poi così surreale non si rivelerà). Un vero e proprio vivisezionamento, favorito da una sopraffina tecnica corporea, ci accompagna in un processo trasformativo che risponde altresì ad un desiderio ancestrale: riconoscersi al di fuori di sé.
Laddove il corpo rappresenta però il nucleo dell’intero processo trasformativo, ai più tradizionalisti il sussidio sulla scena di una telecamera potrebbe risultare distraente: ma quanto sarebbe stato meno efficace e dirompente se la performance ne fosse stata priva? Se da un lato l’intero lavoro risponde ad un bisogno ancestrale; dall’altro si rivela essere un progetto estremamente “futurista”. Estensione corporea, l’elemento tecnico non fa che offrirci al contempo una realtà aumentata ed una duplice dimensione temporale: lente d’ingrandimento sul graduale e talvolta impercettibile trasformarsi della corporeità, solo in fase conclusiva permette di visualizzarne il risultato quale vero e proprio shock percettivo. Ciò che il nostro sguardo ammantato probabilmente non riusciva a scrutare in quel lento trasformarsi; ciò che credevamo irrealizzabile ora è lì su quello schermo: il corpo si è fatto montagna.