Come di consueto, anche quest’anno, il 26 Dicembre prossimo alle ore 11,00, nella Basilica di Santa Maria in Ara Coeli, si svolgerà Il concerto di Santo Stefano, giunto ormai al suo XXV° anniversario, definito nel 2008 da Peter Gabriel “Il Respiro Sacro di Roma” per la capacità di mettere in contatto culture di popoli differenti, generi musicali poetici e narrativi assolutamente diversi, spaziando tra i grandi personaggi del mondo jazz e del rock, della musica classica, della poesia, del giornalismo: «voci, suoni, ritmi, giaculatorie, meditazioni e madrigali per la PACE».
Protagonista sarà il Maestro Luigi Cinque con la sua Hypertext O’rchestra, un ensemble a formazione variabile, con grandi solisti internazionali da lui diretti. Quest’anno l’Orchestra sarà composta da Anais Drago (violino, voce, live electronics), Efren Lopez (oud, rabab), Gianluigi Di Fenza (chitarra), Giovanna Famulari (violoncello), Marco Colonna (flauto, clarinetto basso, sax alto), Stefano Saletti (oud, bouzouki, chitarra), lo stesso
Luigi Cinque (clarinetti, sax soprano, voce, live electronics), Inoltre è prevista la partecipazione straordinaria della misteriosa cantante della Mongolia Urna Chahar Tugchi, che vanta un’estensione vocale di quattro ottave, e del noto cantautore, compositore e sassofonista napoletano Enzo Avitabile.
Per maggiori dettagli sull’evento, Quarta Parete ha intervistato il Maestro Luigi Cinque.
Com’è nata venticinque anni fa l’idea di questo Concerto di Santo Stefano che hai creato e voluto con fermezza?
«Il Concerto di Santo Stefano è diventato da tempo uno degli appuntamenti stabili della vita culturale romana. Giunto ormai alla XXV edizione, continua, musicalmente (e non solo) a consolidare la sua vocazione di appuntamento Internazionale legato ai temi dell’interscambio culturale e al rapporto tra le grandi metropoli del Mondo. L’iniziale intento (d’accordo con i padri Francescani), fu quello di misurarsi e interpretare le liturgie che le altre culture avevano prodotto in relazione a quella Cristiana, come ad esempio la Missa Luba, la Messa Flamenca e tutte le messe mediterranee. Nel tempo, poi, il Concerto di Santo Stefano – la sua musica e i suoi personaggi – ha subito un processo di sincretismo/world in forte relazione con un luogo simbolo della cristianità come la Basilica di S. Maria in Ara Coeli. Nel tempo con l’apporto di tutti gli artisti coinvolti si è consolidato. E, ora, al mattino, ore 11, del 26 dicembre, in presenza di un pubblico foltissimo e internazionale, avviene qualcosa che assume sapore di spiritual, di festa mediterranea, di rito sacro e pagano nello stesso momento, di liberazione e di guarigione. Oggi il Concerto ha una sua personale identità rituale. Si viene al concerto non solo per la musica ma per una forma di rito personale.»
Perché hai scelto di farlo proprio in questa Basilica che sorge sul colle del Campidoglio?
«La casualità è il viatico dei migliori incontri. A suo tempo fu una proposta di qualcuno dei nostri referenti che nel tempo sono alcune Istituzioni come l’Assessorato alla Cultura del Comune di Roma e in molti casi la Regione.»
Una leggenda in quelle antiche guide di viaggio note come Mirabilia Urbis Romae, ci narra che in questa Chiesa Ottaviano ebbe la visione di una donna con bambino in braccio che affermava «Questa è l’ara del figlio di Dio», da cui il nome Santa Maria in Ara Coeli. Quale luogo migliore per celebrare Santo Stefano, quello dei “comites Christi”, discepoli di Gesù, primo martire della cristianità?
«La chiesa fu costruita sulle rovine del Tempio di Giunone Moneta, che sorgeva sull’Arx, una delle due alture del Colle Capitolino. L’identificazione del sito non è però certa; secondo altri studi la chiesa sorgerebbe infatti dove si trovava l’antichissimo Auguraculum, luogo dal quale gli Auguri prendevano gli auspici osservando il volo degli uccelli. Da quel momento la chiesa poi Basilica ha una storia incredibile e la sua scala fu costruita a metà del 1300 in omaggio alla Vergine per la fine della peste che aveva invaso l’intera Europa del tempo. Infiniti gli episodi e tra questi il fatto che vi fu Laureato Francesco Petrarca nel 1341.»
Come hanno accolto e ancora accolgono i monaci francescani questa celebrazione musicale, dove capita di mettere a confronto quello che le altre culture hanno prodotto in relazione alla liturgia cristiana, come ad esempio la Missa Luba, la Messa Flamenca e tutte le messe mediterranee?
«Con grande curiosità e generosità. Difficilmente altre religioni permetterebbero su un proprio altare la presenza di artisti di altre fedi, sia pure vicine, di esibirsi con brani musicali della propria liturgia.»
In realtà fu solo nel 274 che l’Imperatore romano Aureliano introdusse nei rituali religiosi romani, la celebrazione del 25, come Dies Natalis Solis Invicti, un culto pagano che ruotava intorno al trionfo della luce sulle tenebre. Il giorno dopo quello più corto dell’anno, il 26, il primo dei Dodici giorni, il Sole bambino inizia a crescere spazzando via la paura delle tenebre. Gesù, Astro, Sole, Luce. Cristianesimo e paganesimo insieme, sacro e profano, una delle tue commistioni preferite?
«La contemporaneità vive una dimensione di post umano in cui tutti gli elementi rituali primigeni faranno parte della liturgia dell’uomo oltre di quella di Dio per i credenti. Non possiamo uscire da questo se si vuole sopravvivere. La mia è musica totale che appunto contempla questo “melting pot”, questa tazza in cui tutti gli ingredienti si mescolano facendo attenzione alle giuste dosi di ogni cosa. Non è un caso che in questi venticinque anni il Concerto sia stato definito “sacred breath of Rom (Peter Gabriel 2008)”, non solo per le sue multiculture a confronto ma anche perché il Sagrato della Basilica ha via via accolto, stili musicali, poetici e narrativi, diversi: da grandi personaggi del jazz, della classica, del rock, della poesia, del giornalismo. La liturgia musicale nasce al momento – in una ritualità improvvisativa (e scritta) – proprio dall’incontro di personaggi spesso straordinari con il folto pubblico romano e internazionale. Un momento di meditazione.»
Dal punto di vista musicale come hai deciso di celebrare questa esplosione della Luce?
«Un insieme di snodi scritti in partitura. Molto real time… molto come si dice oggi interplay tra i musicisti. Molta anche letteratura dalle Cantiuncolae sacrae di Monteverdi.»
La tua orchestra ha una composizione variabile, come hai sposato i brani di questo concerto con i musicisti prescelti?
«Lo vedrete in scena…»
Quest’anno hai un ospite d’eccezione, cresciuto tra Pino Daniele ed Edoardo Bennato, che, grazie a James Brown, ha ricominciato dalla sua terra, cosa ci puoi svelare di lui?
«Enzo Avitabile è diventato un mito del nostro tempo. Ha qualcosa di più forte di tutti relativamente a quell’attaccamento alla terra magica (come si dice) al piede primitivo che batte il ritmo.»
Come lo hai inserito nella tua Ensemble, in quale ruolo?
«Meglio dire che lui ci viene a trovare nella seconda parte del concerto con le sue cose che in alcuni casi ricostruiamo insieme sul palco. Enzo è un’identità forte. Viene a trovarci con la sua identità.»
Un’altra figura suggestiva di questo concerto è la Tugchi, non è la prima volta che questa cantante fa parte dei tuoi concerti, come vi siete incontrati? Cosa ti ha colpito del suo canto?
«Con le sue melodie segrete ci siamo incontrati in un Festival a Samarcanda nel 2008. Urna Chahar Tugchi è originaria della Mongolia e precisamente delle “Steppe di Ordos”. Si è diplomata in canto e composizione al Conservatorio di Shangai ed è considerata, con le sue quattro ottave di estensione vocale, un vero e proprio fenomeno del canto/world internazionale. La sentirete…»
Tra i musicisti ci sarà la violinista Jazz Anais Drago, il chitarrista spagnolo Efren Lopez, alla chitarra classica, Gianluigi Di Fenza, al violoncello, Giovanna Famulari, i polistrumentisti Marco Colonna e Stefano Saletti, insomma una serie di nomi importanti, quali contaminazioni dobbiamo aspettarci?
«Lo spirito dell’Hypertext O’rchestra. In formato Chiesa ovviamente. Con tutto il rispetto e le costrizioni del caso, rispetto ai ritmi, il ballo, il forte con tre fff.»
Abbiamo parlato di questo Concerto che sarà certamente diverso da tutti gli altri, ora parliamo di te, se ti dovessi definire per l’uomo della strada con tre aggettivi, quali sceglieresti?
«A questo punto semplicemente un viaggiatore del tempo.»
«Polistrumentista, compositore e regista, inventore e propositore della musica transgenica», ci spieghi in poche righe in cosa consiste?
«Cerco alchimie di nuove musiche non per forza sperimentali e autorefenziali. I molti strumenti o la regia dei miei film servono a parlare direttamente e indirettamente della nostra condizione a cavallo, sempre più stanco, tra arcaico e futuro. Con un’occhio drammatico alla condizione del pianeta e alla sua devastante “population bomb”, sovrapopolazione.»
Sei considerato «uno dei compositori/autori più rappresentativi della nuova frontiera tra antropologia della musica, scrittura musicale e nuove tecnologie applicate», come ti sei preparato per arrivare a questo?
«Molta casualità, molti errori, e una serie di bersagli centrati. Sono partito per l’India per una serie di concerti nel 1986 e sono rimasto a Benares (oggi Varanasi) un anno a studiare il ‘raga’.»
Ti muovi tra i suoni arcaici della musica tradizionale etnica, il Jazz, il rock e le nuove espressioni tecnoacustiche, dal teatro alla danza, dalla poesia al canto mediterraneo, cosa hai ancora in mente di sperimentare?
«Sto scrivendo un’opera che si chiamerà Memoria del futuro con un sottotitolo da definire. Parlerà di questo.»
“Il progetto, promosso da Roma Capitale-Assessorato alla Cultura, è vincitore dell’Avviso Pubblico Contemporaneamente Roma 2020 – 2021 –2022 curato dal Dipartimento Attività Culturali ed è realizzato in collaborazione con SIAE”
INGRESSO LIBERO
Informazioni info@mrf5.it – 3421662800
Produzione MRF5 s.r.l.
Ideazione e direzione artistica: Luigi Cinque