L'”Orestea” riscritta da Giovanni Testori
Un ribaltamento, o meglio un “rabaltamento” dissacrante, sfacciato: l’opera di Eschilo è stata trasformata, sconvolta dalla penna di Giovanni Testori, in una tragedia dal nome emblematico sdisOrè. Allo sconquasso teatrale e letterario ha contribuito l’interpretazione dell’unica protagonista in scena, Evelina Rosselli, che con le sue maschere ha riportato in vita il dramma, il matricidio ripensato da Testori, all’interno del 77° Ciclo di Spettacoli Classici al Teatro Olimpico di Vicenza.
Pochissimi gli elementi presenti, una valigia, una sedia e le quattro figure grottesche, deformi tra le mani e, di volta in volta, sul volto della protagonista e voce narrante Evelina Rosselli: l’opera si è condensata e sviluppata nell’essenzialità, nella concretezza arrivando dritta e immediata grazie al suo punto di forza. Il linguaggio. La parola riscritta da Giovanni Testori ha smembrato la trama di Eschilo restituendo una partitura di dialoghi fuori dal comune, dissacranti, osceni, potenti, ibridi.
Due sono le maschere principali, sdisOrè (Oreste) e Clitennestra; Eghistòs (Egisto) e Elettra sono, invece, impersonati da due marionette, animate dalla voce e dalle mani della stessa Evelina Rosselli: quattro protagonisti al centro della storia, dello spazio teatrale. Dopo la singola presentazione di ciascuna figura, ognuna con “propria” voce e a proprio modo, ha avuto inizio la rappresentazione del dramma: sdisOrè sta per tornare dall’esilio, desideroso di vendicare il padre Agamennòn (Agamennone) ucciso per mano della madre Clitennestra e dell’amante Eghistòs. Ad attenderlo, c’è la sorella Elettra che, in perpetuo affanno e in piagnisteo, medita anch’essa la fine terrena della propria madre. Quest’ultima, ben intuendo cosa l’aspetta, cerca di consumare “l’ultima ciavada” con Eghistòs, in uno scambio spregiudicato di battute e inviti.
Nulla servirà, poiché, in un climax ascendente dominato dal colore rosso, Clitennestra verrà uccisa dal figlio sdisOrè, giunto per la sua “vendicazione”. Chiude la scena, il monologo della narratrice sul “perdon”, sul senso comune di maschera. Un discorso rivolto alla platea dove ognuno poteva (e può) leggerci qualcosa di personale, di autenticamente rivolto a se stesso.
Ciò che sorprende non è la trama in sé, ma, come già accennato, il linguaggio che la narra e la modalità della sua messa in scena. Giovanni Testori ha creato una vera e propria lingua sui generis: un misto di lombardo, italiano, con accenni quasi vicini al volgare, aggiunte francesi e latine. Un’unione di più locuzioni, modi di dire, espressioni provenienti da ceppi linguistici vicini, talvolta dialettali. Evelina Rosselli ha saputo interpretare questa contaminazione verbale con bravura, dosando ogni singola voce, caratterizzando ogni figura di una propria personalità, data anche dalle forme e dall’espressività stessa della maschera.
Occhi sbarrati, spaventosamente aperti, viso deformato per sdisOrè, espressione grottesca, quasi volgare per la “bagascia” Clitennestra, lingua di fuori e fisionomia da cadavere per Eghistòs. La “zitella… cagnolina” Elettra è, invece, raffigurata con il viso lungo, i lineamenti languidamente tristi. Ognuno ha caratteristiche e voce propria, si esprime ai limiti del dissacratorio, dello spregiudicato. La “profanazione” dell’opera eschilea serve per portare alla luce le contraddizioni, le brutture, l’anonimia della maschera umana in generale. Il sordido, la violenza, il tradimento, la dissacrazione ai massimi livelli, sintetizzati nella parola gridata, esclamata, sussurrata.
Ecco che trovano senso e sostanza le diverse espressioni di Testori, interpretate da Evelina Rosselli: gli epiteti “lurida puttana”, “porca” (ripetuto da sdisOrè durante il matricidio) per Clitennestra, i vari “cazzo”, “culo…merda” (in certi punti, poteva leggermente ricordare l’intercalare dantesco nell’Inferno), il membro maschile definito in curiosi e interessanti modi, la “senza figa” Elettra che, per riconoscere il fratello dopo il suo ritorno, mette mano alla sua “verga vendicatrice”. La sentenza materna rivolta al figlio omicida: “possa in tel culo pederastico ciavare”. I riferimenti alla sfera sessuale, erotica spingono oltre i personaggi, scombinano ogni concetto di classicità pura, per restituire l’umanità e la tragicità in tutta la sua materialità.
La storia diventa così carne spolpata, sviscerata, resa evidente per quella che è: la narrazione della natura umana fino ai suoi meandri imperscrutabili. La rivelazione del suo lato assurdo, oscuro, incomprensibile.
Se la natura umana è così, allora lo deve essere anche la lingua che prova a renderla tangibile, concreta. Certi passaggi, infatti, non sono così immediati, non sono facili. Sono estremi e complicati. La voce di Evelina Rosselli va lasciata fluire nei suoi continui intercalare, nelle sue trasformazioni, nei cambi di personaggio e di tono, fino all’atto finale.
Lì è possibile tirare le fila, considerare anche solo un pezzetto, una frase, una sfumatura e capire che è possibile far propria una tragedia perché, in fondo, è per noi ed è, sfrontatamente, di noi che parla.
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sdisOrè: di Giovanni Testori, regia Gruppo UROR, con Evelina Rosselli, realizzazione maschere e marionette, Caterina Rossi, disegno sonoro Franco Visioli, disegno luci Fabio Sajz, direttore di scena Camilla Piccioni, foto Luigi Angelucci, produzione esecutiva PAV, con uno sguardo di Antonio Latella, con il sostegno di AMAT – Associazione Marchigiana Attività Teatrali, Comune di Pesaro – Teatro Olimpico di Vicenza 20 e 21 settembre 2024
Immagine in evidenza/di copertina: Ph. Luigi Angelucci