di Miriam Bocchino
Il 2 giugno 2020 si è celebrata la V Giornata Mondiale sui Disturbi del Comportamento Alimentare, promossa per aiutare gli esperti del settore (medici, psichiatri, nutrizionisti) a tenersi aggiornati sugli sviluppi nella ricerca di tali disturbi.
Secondo uno studio, come riportato sul sito del Ministero della Salute, negli ultimi 5 anni (dal 2014 al 2018), su 60mila ricoveri, si è osservato un aumento costante della patologia e una diminuzione dell’età media in cui la malattia colpisce.
I Disturbi del Comportamento Alimentare sono patologie caratterizzate da un’alterazione delle abitudini alimentari con una eccessiva preoccupazione per il peso; le donne, in età adolescenziale, sono quelle maggiormente colpite.
La bulimia nervosa, il disturbo da alimentazione incontrollata e l’anoressia nervosa sono tra i principali disturbi dell’alimentazione.
Maria Vittoria Strappafelci, autrice del libro “Il Digiuno dell’anima: Una storia di anoressia”, è stata, per 19 anni lunghissimi anni, affetta dall’anoressia nervosa.
Il romanzo, pubblicato nel 2016 dalla Casa Editrice Kimerik, è il racconto degli anni vissuti convivendo con la malattia e dell’estenuante fatica provata per uscirne viva.
“La perfida vipera”, così Maria Vittoria definisce l’anoressia nervosa, l’ha trascinata con sé nell’età più fragile della vita: l’adolescenza.
Nel libro, che assume la forma quasi di un diario in cui l’autrice non solo racconta la sua storia ai lettori ma anche a sé stessa, scopriamo, attraverso le sue parole, la fragilità e la forza di una giovane donna e la sua battaglia per la guarigione.
Il romanzo autobiografico introduce il lettore all’argomento con la prefazione della Dottoressa Maria Grazia Rubeo, specialista che ha avuto in cura Maria Vittoria.
La storia dell’autrice incomincia il 14 giugno del 1988 a San Lorenzo Nuovo, un piccolo paese della provincia di Viterbo, nel Lazio.
Maria Vittoria ha 17 anni, è euforica quel giorno in quanto i genitori hanno preso in gestione un bar al camping “CHEZ VOUS”, frequentato dalla famiglia da quando lei era solo una bambina. È gioiosa perché potrà trascorrere l’estate a dedicarsi alla nuova attività. Il destino, tuttavia, decide per lei una sorte differente, che la condurrà, successivamente, ad una sofferenza indicibile. Il padre, infatti, le ha trovato un lavoro in un maglificio del paese e ciò non le consentirà di trascorrere le sue giornate come si era prefissata.
L’autrice, con un linguaggio molto semplice e attraverso l’ausilio di citazioni e “modi di dire”, ci racconta la sua storia familiare. La sua è una famiglia umile, in cui la scarsità di denaro non le ha consentito di proseguire con gli studi, anche per la salute fragile del padre che, inconsapevolmente, ha influenzato la sua vita futura. Lei e suo fratello Graziano, infatti, a causa delle continue ospedalizzazioni del genitore, durante l’arco dell’infanzia, si sono trovati spesso da soli: questo ha fatto emergere in Maria Vittoria un profondo senso di abbandono che si trascinerà con sé per tutta l’esistenza e che la colpirà duramente.
L’abbandono definitivo, o almeno quello che lei percepisce come tale e che la trasporta nelle fauci della “perfida vipera”, lo subisce quel 14 giugno: da lì in poi la sua esistenza cambia inesorabilmente, facendo scaturire la malattia.
La solitudine dei pranzi e l’inappetenza saranno i primi segnali del disturbo alimentare di Maria Vittoria.
“Avevo perso ogni controllo di me stessa, non avevo più un equilibrio psicologico, non sapevo gestire le situazioni e soprattutto non sapevo più gestire il mio rapporto con il cibo.”
Il peso, nel corso del tempo, incomincia a scendere vorticosamente fino a raggiungere ai 40 kili ma Maria Vittoria si continua a percepire grassa e la ricerca della totale magrezza non le consente di fermarsi: il desiderio di “autodistruggersi” diviene sempre più accentuato.
Quello che emerge, leggendo il romanzo, è il bisogno smoderato che Maria Vittoria ha di essere amata, il desiderio straziante del calore familiare. Nonostante la famiglia sia presente lei stessa si percepisce come abbandonata, facendo diventare il suo bisogno di amore e affetto sempre più sviscerale.
L’autolesionismo è l’ulteriore passo verso l’abisso e il “digiuno dell’anima”.
Maria Vittoria continua a dimagrire, raggiunge i 38 kili e nasce in lei la necessità di mantenere quel peso.
La malattia peggiora ancora di più e sfocia nella bulimia: grandi abbuffate di cibo e poi il vomito.
La solitudine dell’anima, vissuta da Maria Vittoria, trova uno spiraglio di luce in un corso di taglio e cucito che decide di frequentare: l’amore per la moda le dà la speranza ma non la necessaria forza per riuscire a fuggire dal vortice della malattia e dalla spirale di dolore. Anche il suo grande amore, infatti, quello per la moda, viene sacrificato all’altare della “perfida vipera”.
“L’anoressia, quella “PERFIDA VIPERA”, si era impossessata completamente della mia vita e io ero succube di questo “demone” che stava consumando il mio organismo portandomi all’inferno.”
Il 2004 è l’anno della consapevolezza della malattia, mentre il 2007, dopo 19 lunghissimi anni nel baratro dell’anoressia, il desiderio di guarire emerge lievemente.
Il 22 ottobre del 2007, con soli 34 kili di peso, la sua vita prende un’altra direzione: il percorso di guarigione ha inizio.
Maria Vittoria, all’età di 37 anni, incomincia finalmente a vivere: i sogni e le speranze fanno capolino nella sua vita e la voglia di ricominciare e di guarire diviene più forte della malattia stessa.
Oggi Maria Vittoria scrive libri, diffonde la sua storia per far comprendere che dall’anoressia si può guarire ed è l’ideatrice, insieme al cantautore Igor Nogarotto e Alessandro De Gerardis, del movimento “NON SIETE SOLI”, nato per sensibilizzare contro i Disturbi del Comportamento Alimentare.
Una storia, quella di Maria Vittoria Strappafelci, che può essere da aiuto non solo per chi soffre di disturbi alimentari ma anche per chi sta vicino a persone che del dolore e della sofferenza hanno fatto compagne di vita. Rinascere si può, nonostante la notte più buia.