Con Tallulah Bankhead, Gary Cooper, Charles Laughton e Cary Grant sullo schermo, si resta molto più affascinati dal cast che dal film in generale, e questo non è certamente un merito; eppure, la trama di Devil and the deep («Il diavolo nell’abisso») è avvincente a sufficienza per catturare l’attenzione degli spettatori, dunque, cosa manca alla pellicola di Marion Gering che impedisce all’emozione di distendersi in platea? Con simili attori, il pubblico dovrebbe sognare, invece la magia purtroppo non accade. Per chi ha seguito gran parte di questa magnifica rassegna sul cinema Pre-Code, è evidente che la regia di Gering sia abbastanza fiacca, poco curata e soprattutto non è riuscita a legare saldamente la recitazione dei protagonisti abbandonati a se stessi. Anche la sceneggiatura risente spesso della debolezza dell’ideatore: in alcuni momenti addirittura scialba, forse banale, sempre racchiusa nei luoghi più comuni della gelosia. Sarà perché gira intorno ad un unico argomento? Può darsi, ma c’è qualcosa in più che non si vede e riguarda il dietro le quinte.
La sensazione è che sia Grant che Cooper (è l’unica volta che i due belli di quel meraviglioso cinema americano recitano insieme, malgrado non si incrocino mai davanti alla macchina da presa) abbiano lavorato con una discreta sufficienza: le poche inquadrature di Grant, infatti, sono quasi sempre di profilo o di spalle, come se non avesse avuto gran piacere a mostrarsi in questa impresa, che si regge esclusivamente sulla bravura di Laughton, marito pazzo e possessivo. Anche Gary Cooper è lasciato un po’ troppo alla seducente consapevolezza di se stesso: glielo si legge negli occhi annoiati, poco innamorati, non della partner, ma del progetto. Il suo sorriso non brilla e non perché quasi tutte le scene siano poco illuminate: scelta infelice per un cast tanto effervescente e un regista considerato non all’altezza di governarlo. Una sola inquadratura merita un applauso, e guarda caso è girata su sfondo bianco: il primo piano della protagonista rabbuiato dalla delusione e la mano di Cooper che per appoggiarsi al muro quasi le accarezza il viso, mentre lo sguardo di lei all’improvviso s’illumina del fascino di chi le sta di fronte e che noi vediamo un attimo dopo.
D’altronde la fama di Gering non si può paragonare a quella di un Frank Capra, di un Lubitsch, di un LeRoy, di un Von Sternberg; e il risultato del suo lavoro è molto inferiore alle aspettative, soprattutto per quanto riguarda i suggerimenti agli attori, le sollecitazioni, i consigli. Non dobbiamo dimenticare che in quel periodo sia Cooper che Grant passavano da un set all’altro con un ritmo incalzante e le distrazioni erano tante. Anche Tallulah Bankhead dà l’impressione d’interpretare un ruolo avendo avuto una sola indicazione di regia, che è l’unica che segue.
In questa calma generale spicca l’estro di Charles Laughton che dipinge a varie tinte la progressiva follia sul volto di un marito ossessionato dalla gelosia. Attore britannico, nato per le tavole del palcoscenico, educazione teatrale di chiara impronta shakespeariana, non è difficile rintracciare nella sua recitazione quella capacità di esternare un sentimento forte come la gelosia con audace talento, conseguenza artistica di uno studio approfondito del personaggio di Otello. Sua moglie è molto bella, ma in una città portuale dell’Africa settentrionale si annoia per il dolce far niente. Gli unici che lei frequenta sono i residenti americani che incontra al club, punto di ritrovo anche per i giovani ufficiali. Suo marito è il comandante di un sottomarino, il quale sospetta (a torto) una tresca tra lei e il tenente Jaeckel. La rabbia di lui monta fino a minacciarla; quindi, lei esce di notte per liberarsi della mortificazione subita e, avendo ormai perso l’opportunità di scaldarsi tra le braccia di Cary Grant trova miglior consolazione, sotto il cielo stellato del deserto, tra quelle di Gary Cooper. Sinceramente, poteva andarle peggio!
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Devil and the deep (Il diavolo nell’abisso), un film di Marion Gering del 1932. Tratto dal romanzo «Sirenes et Tritons» di Maurice Larrouy. Con Tallulah Bankhead (Diana Sturm), Gary Cooper (Sempter), Charles Laughton (Charles Sturm), Cary Grant (Jaeckel), Paul Porcasi (Hassan), Juliette Compton (la signora Planet), Henry Kolker (Hutton), Dorothy Christy (Crimp), Arthur Hoyt (il signor Planet), Gordon Westcott (Toll), James Dugan (Condover). Sceneggiatura di Benn Wolfe Levy. Costumi, Travis Banton. Regia di Marion Gering. Per la rassegna «Hollywood proibita. Il cinema senza censure del Pre-Code» al Palazzo delle Esposizioni, sala Cinema
Foto in evidenza: Gary Cooper con Tallulah Bankhead