Il delirio, o dialoghi con una caffettiera

Chi può dire se sia meglio perdere la memoria o se prendere coscienza di essere diverso dagli altri, tra loro simili, e sentirsi all’improvviso esclusi dal mondo che ci ha accolti fino a quell’istante? Il quesito resta senza risposta, perché sia gli uni che gli altri si abbandonano a uno stato patologico di assurde convinzioni. Il delirio.

Il delirio è la conseguenza di chi soffre di demenza, o di Alzheimer. Ma casca nel delirio anche chi disperatamente si rifugia in uno stato depressivo, rifiutando tutto, a volte anche la vita stessa: un eccesso patologico che potrebbe spingere al suicidio. Il tema è fin troppo delicato, fin troppo profondo, e – per dirla con una parola che in teatro è molto abusata – è «pesante».

Il pregio di Conta che passa la pazza, scritto da Irma Ciaramella, è tutto concentrato in questa sfumatura: in scena, la pazza, colei che ha perduto la memoria, tanto da non ricordare nemmeno il proprio nome, colei che è stata esclusa dal mondo esterno, per fortuna è in preda a un «delirium ridens», e quindi canta e balla e gioca. O meglio, sembra giocare con i suoi amici che sono un coperchio, una vecchia marmitta da cucina, e una grossa caffettiera. Tre oggetti simbolici (la regia è di Francesco Maria Cordella) che parlano emettendo i loro rumori, quelli della quotidianità che contribuisce a irrobustire le abitudini casalinghe; proprio quelle che alla lunga rendono difficile ogni confronto con il mondo esterno, dove all’improvviso tutti possono apparire «diversi». E lo sono: perché obbiettivamente diversi da una caffettiera, da un coperchio e da una marmitta, diversi dalle abitudini che procurano sicurezze tra le mura di casa.

La pazza però era una cantante lirica, la quale, a causa di una forchetta, è rimasta traumatizzata: infatti è simbolicamente ingabbiata in una crinolina semirigida (la stessa che usano molte sartorie teatrali per ampliare il volume delle gonne dei costumi ottocenteschi) che le impedisce ogni desiderio di libertà. A fatica si stacca dal capo un’altra crinolina enfant, più piccola, ma preferisce non uscire mai dal suo ring protettivo, un triangolo formato dai tre oggetti con cui dialoga e che hanno un nome: Rosario, Gloria e Veronica. Nella sua testa, però, c’è musica, ma non c’è il figlio al quale, invece, dovrebbe telefonare, come ha scritto il medico su un biglietto. La pazza non riesce neanche a disperarsi di fronte a questo dramma. «Una furtiva lacrima», canta il tenore, lei ascolta cercando vanamente un abbraccio.

Convinti gli applausi alla protagonista.

Conta che passa la pazza, di e con Irma Ciaramella. Regia e musiche di Francesco Maria Cordella. Assistenti alla regia Ottavia Orticello e Assunta Pariante. Al Teatro Porta Portese fino al 6 novembre.

Teatro Roma
Grazia Menna

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