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Il delirio di onnipotenza germanica alla conquista del ring

L’ariano vince, lo zingaro perde: lo sport fuori razza nel mirino della Germania.

Il Festival del teatro e della performance, edizione catanese, si è concluso il 26 ottobre. Prima, però, ha lasciato che facessimo un ultimo affondo tra gli scaffali della storia e tra quelli dello sport, nel tentativo, appieno riuscito, di rispolverare la biografia di Johann Trollmann, l’atleta dai pugni volteggianti fra le corde del ring. Le stesse corde che, immaginarie, riviviamo nella Sala Grigia del Centro Culturale “Zo”, dalle quali si fa spazio Michele Vargiu. Quest’ultimo, una volta conquistato il quadrilatero del palco, come se fosse quello di un’arena da combattimento, troverà altre corde ad attenderlo, quelle di una chitarra classica e ad “accarezzarla” Gianluca Dessì.

Gianluca Dessì

Sul palcoscenico, pertanto, due oratori: l’uno mediante la parola, l’altro mediante il suono. L’uno esegue un monologo, l’altro delle composizioni musicali, brani che avviano la narrazione e con essa progrediscono, (in)seguendola dal principio all’epilogo. L’esito è un’eloquenza duplice e incrociata: parole e suoni che frenetici si intersecano e insieme conversano, che si avvicendano e congiuntamente e alternativamente crescono e decrescono. Un binomio drammaturgico chiamato Der Boxer. È Il pugile, traducendo dal tedesco, il titolo di questa cornice narrativa e melodica.

Una cornice dentro la quale è raffigurato un paesaggio innevato che, nella totale assenza di scenografia, spetta a noi credere che ci sia davvero. Per questo, ci basterà scomodare il potere della fantasia, la stessa che ci occorrerà per trasferirci mentalmente in Germania, nella gelida Germania del secolo Novecento. Il secolo scorso, quello che troviamo sfogliando il libro di storia, alla ricerca anche della più piccola rimembranza, che a pensarci bene non è poi così tanto piccola.

La rimembranza di due conflitti mondiali combattuti dalla Germania con il resto del pianeta, e dal resto del pianeta con la Germania, nell’aria e dalla terra al mare, dal mare alla terra e nell’aria. La rimembranza degli anni 1914-1945, un crescendo, anno per anno, di invasioni e offensive, di propaganda e manipolazione, del Partito nazionalsocialista, del fascismo e del nazismo. Un crescendo di morti a migliaia e di devastazioni, e di bombardamenti e di esecuzioni di massa, fino all’introduzione di forni crematori e di camere a gas. Le leggi della razza in vigore, fuori da essa nessuna pietà. Nessuna pietà per omosessuali, disabili, neri, ebrei e zingari. Zingari come lo era Johann Trollmann. Pugile e zingaro, pugile e acerrimo nemico della sola e unica razza superiore: quella germanica, quella dei canoni estetici perfetti, della bellezza senza eguali.

Una bellezza da preservare ad ogni costo. Una purezza da non sporcare e da difendere spietatamente. Da difendere con la sterilizzazione. E come se non bastasse: con la deportazione, il meccanismo anti-inquinamento per eccellenza. Da una parte. Dall’altra, una catastrofe di vite umane senza precedenti. Una catastrofe che la Storia ha chiamato Olocausto, oppure Shoah, che significa “distruzione”. La distruzione di intere categorie di persone convertite in numeri: sequenze numeriche incise sulla pelle come un marchio, come il sigillo dell’impurità che gli attribuivano, la stessa che hanno attribuito a Johann Trollmann.

La distruzione, quella avvenuta nei campi di concentramento, da Auschwitz a Birkenau, quei dannati campi dello sterminio, luoghi-lager del genocidio, dell’isolamento e del martirio per gli “infetti”, ed il primo a dichiararli e a certificarli come tali fu Adolf Hitler, lo scienziato, il luminare, l’inventore della contaminazione della stirpe tedesca: un dittatore, un criminale, un pazzo, un razzista. Un razzista ariano. E ariana doveva essere l’arte, ariano lo sport, ariane le persone: tutto doveva corrispondere al disgustoso, ignobile e spregevole lessico della discriminazione e della segregazione, dell’intolleranza e del fanatismo.

Un lessico che ebbe come conseguenze la vessazione e l’accanimento verso tutti “i non ammessi”, gli scarti da eliminare, i rifiuti da mettere a parte. Tra i rifiuti Johann Trollmann, il campione di origini circensi che, all’inizio, seppe distinguersi da Hannover ad altre città praticando l’arte del pugilato con la leggiadria di un danzatore, il campione che vinse incontri e medaglie a seguito, finchè, da lì a poco, non gli vietarono l’accesso. Accesso negato a palestre, gare e giochi olimpici, alla boxe per intero e persino ai titoli, che gli furono revocati. Terra bruciata ovunque e la sua immagine sminuita. Trollmann “messo a tappeto” dal nazismo. Trollmann, proprio lui: l’intrattenitore dai pugni danzanti, l’uomo aggraziato che, librandosi come in un volo, stordiva e incantava l’avversario. L’ariano vince, lo zingaro perde. Trollmann, lo zingaro umiliato e messo a tappeto da quell’insensata ideologia identitaria alla quale cercò di opporsi con tutte le sue forze. Invano.

Gianluca Dessì, Michele Vargiu

Nel frattempo, l’eccidio nei campi di annientamento non conosceva (lieto) fine. La maggior parte di essi era dotato di forni in cui bruciare i corpi come stracci da buttare via. E laddove questi forni non c’erano, c’erano pur sempre le armi, da scagliare nel cuore della notte contro i corpi fuori razza. Come fecero con il detenuto 9841. Era il 31 marzo 1944. Era Johann Trollmann

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Der Boxer – Autore: Michele Vargiu – Regia: Laura Garau – Interpreti: Michele Vargiu – Luci: Laura Garau – Musiche: Gianluca Dessì (dal vivo) – Produzione: Compagnia Meridiano Zero Compagnia Vaga – Fringe Catania Off International Festival – Zo Centro Culture Contemporanee – Sala Grigia (dal 23 al 26 ottobre 2025)

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