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Il confine di Xelindor, quando il fantastico ci parla del presente

L’ultimo spettacolo del Festival InDivenire, Il confine di Xelindor ci catapulta in un universo sospeso, in bilico tra favola e sogno. Uno spettacolo chimerico e ironico, che usa il fantastico per graffiare il reale.

La scena ci presenta un ambiente selvaggio, con legni e schegge sparsi sul palco a suggerire un altrove ostile e primitivo. Al centro del proscenio, un personaggio inginocchiato, con la testa infilata in un secchio. Il pubblico entra lentamente, e lui resta lì, immobile. È un’immagine disturbante e poetica, una fessura sul senso del racconto: il corpo prigioniero, l’identità compressa.

Lui indossa un saio, le braccia nascoste, il corpo contratto. La postura è scomoda e inquieta, ma carica di significato. Poi, un cambio ritmico: una musica martellante accompagna l’ingresso di una figura femminile che danza, si avvicina, si accascia su di lui. Buio.

Al riaccendersi delle luci, il giovane solleva finalmente la testa: è bagnata, perché immersa nell’acqua. Inizia a parlare e confessa un sogno: si è unito con una donna. Inaccettabile! In quel mondo, gli uomini stanno con gli uomini e le donne con le donne. Nessuna deviazione è ammessa. Chi sogna o desidera il diverso è un peccatore.

Il racconto prende forma, tra situazioni paradossali e personaggi fuori schema. Un corpo morto viene trascinato in scena per essere bruciato; una strega rompe il silenzio con rivelazioni e incantesimi; un amico vacilla tra la legge del regno e il richiamo al cambiamento. Le relazioni si intrecciano, i ruoli si confondono, i desideri si dichiarano: è una miccia pronta a esplodere.

Tutto questo è costruito con un ritmo dinamico e una gestualità coreografica in equilibrio. I dialoghi sono un impasto teatrale bizzarro, un linguaggio inventato che mescola latino, milanese arcaico, romano e ciociaro. Difficile da gestire, ma reso credibile dagli interpreti.

I costumi, simili a dei sai monacali, creano un’atmosfera atemporale, mentre la scenografia minimale lascia spazio ai corpi, alle parole e alla luce, che accompagna l’elemento narrativo. Buffo il momento in cui i due “colpevoli” si abbracciano stretti, con i piedi dentro una bacinella d’acqua, illuminati da un fascio di luce mentre aspettano di morire: ma la morte non arriva. Quì si apre la speranza. La disobbedienza. La rivoluzione. I tre personaggi decidono di oltrepassare il confine di quel regno oppressivo, Xelindor, e cercare un mondo nuovo. Nell’entusiasmo di affrontare una rivoluzione, le luci si abbassano e il tossire inaspettato del morto, annuncia una storia che continua. Un lungo applauso scoppia nella platea. 

Gli attori sono giovani, intensi, preparati. Hanno corpi allenati, voci sicure, volti espressivi. Reggono la scena con coraggio e tenuta fisica, anche se – e qui una nota va detta – il corpo va anche protetto: restare troppo a lungo in posizione innaturale, come accade all’inizio con l’attore che mantiene per troppo tempo la testa in giù dentro il secchio, può essere un rischio non necessario. Un attore deve essere allenato, ma anche consapevole e deve saper proteggere il proprio corpo, strumento prezioso di comunicazione e interpretazione. 

Il confine di Xelindor è uno spettacolo in divenire, ma già capace di raccontare molto: l’identità, la colpa, il desiderio, il coraggio di cambiare. 

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Il Confine di Xelindor – Regia: Nicolò Felici – con Nicolò Felici, Federico Bizzarri, Martina Venturi, Ugo Caprarella – Teatro Spazio Diamante – Festival InDivenire – 9 maggio 2025

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