I FISICI al Trastevere: La recensione

 

 

di Laura Dotta Rosso

 

“Il nostro compito è mettere in ordine l’apparente disordine della natura”, questo il dogma dei tre fisici protagonisti, rinchiusi in una casa di cura, in Svizzera, negli anni Sessanta. Il racconto di Friedrich Durrenmatt prende forma nello spettacolo “I fisici” al Teatro Trastevere, in scena dal 18 al 22 dicembre. Tre uomini rinchiusi, visti dal mondo come tre pazzi, perché l’essere umano vede ciò che desidera e non osserva ciò che vede. Tre omicidi anzi no, come dice la direttrice, “tre incidenti”.

Tre infermiere uccise dai pazienti che avevano in cura, tre i personaggi che i pazzi credono di essere o con cui credono di parlare: Newton, Einstein e il re Salomone. Cornici bianche sparse per le pareti, richiamano parenti della direttrice ed eccellenti psichiatri. Il procuratore fa pressioni per avere infermieri maschi che gestiscano la struttura, il detective è sotto pressione perché incapace di trovare una valida soluzione che permetta alle vittime di avere giustizia e ai pazienti di non andare in carcere. Il finto Newton non ama gli agnolotti ed è costretto a mangiarli tutte le settimane, Einstein, come terapia, deve suonare il violino ogni giorno ripetendo, metodicamente, le stesse melodie e il povero discepolo del re Salomone sembra avere, come unico difetto, quello di sentire la voce del suo re.

Quale sarà il reale motivo per cui l’apparente equilibrio della clinica verrà sconvolto?

Una direttrice rigida, nervosa, composta e vestita rosso fuoco, darà ritmo alla commedia, rendendo intrigante il racconto. Il contrasto tra il bianco e il nero nella scenografia richiama, in maniera nitida, il freddo ambiente di una clinica. Il solo braccio che sbuca dalla quinte tenendo una cornice e obbligando lo spettatore a fantasticare sull’immagine narrata dai protagonisti, riesce a dare ritmo e, per un attimo, sembra di mettere in pausa la scena aspettando che l’evento successivo esterno ad essa, permetta di poter schiacciare nuovamente play. La voce fuori campo, un po’ robotica del collega del sergente, infastidisce l’ascoltatore che, immediatamente, si sente catapultato in un altro contesto, non reputando credibile la personificazione del collega. L’idea di giustizia dell’ispettore viene sottolineata solo da poche battute ma, per tutta gran parte del racconto, non sembra essere troppo disturbato dal non poter incarcerare i tre protagonisti, aspetto invece sottolineato nel testo originale di Durenmatt. Verrà scoperta “la formula universale del sistema per tutte le scoperte” e sarà l’irruenza umana a sconvolgere ogni cosa, perché il progresso fisico è l’unico aspetto fondamentale e non importa chi si deve prevaricare, chi si deve uccidere o chi si sottovaluta per farlo. Gli interpreti Alessandro De Feo, Lorenzo Garufo, Laura Grimaldi, Emanuele Natalizi, Andrea Papale, Guia Scognamiglio, Alessandra Tito ed Eugenio Banella riescono a intrattenere e interessare il pubblico, colgono bene le sfumature dei personaggi e la regia (Eugenio Banella), rende attraente il progetto, che però risulta troppo lungo e perde ritmicità soprattutto nel secondo atto. In questo mondo, dove forse bisogna fingersi pazzi per essere ascoltati, bisognerebbe specchiarsi e mettere in discussione le proprie convinzioni, sarebbe opportuna ricordare che “E’ negli occhi dei pazzi che risiede il destino del mondo”.