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“Hype”: Domenico Croce racconta sogno e riscatto tra rap e quartiere QT8

Uscita il 31 ottobre su RaiPlay, la serie racconta sogni e rap che si scontrano con la durezza della realtà. Di questo e molto altro abbiamo parlato con Domenico Croce, che ha diretto la serie insieme a Fabio Mollo.

Milano, quartiere QT8, un luogo dove realtà e sogni si scontrano, una contrapposizione di cui la stessa architettura si fa richiamo, divisa tra case popolari e villette di media ed alta borghesia. Qui ha inizio la storia di Luca ( Lorenzo Aloi ), Anna ( Martina Sini ) e Marco ( Gabriele Careddu ), amici inseparabili uniti dalla passione per la musica rap. Finalmente notati dalla Parsifal, rinomata etichetta del panorama musicale, ai tre amici sembra di vivere un sogno, un sogno destinato presto a scontrarsi con il quartiere e la sua spietatezza.

Queste le premesse di Hype, serie di otto episodi presentata in prima visione su Rai Play lo scorso 31 ottobre con la regia di Fabio Mollo e Domenico Croce, serie che vede un’attiva partecipazione del panorama musicale rap con Ernia, qui anche attore e voce narrante, e i 2 Rari. Una serie che parla di sogni e sconfitte, ambizioni e realtà brutali, spirito di gruppo e opportunismo individuale. Tra amicizia, forte ambizione e resilienza vediamo i nostri protagonisti crescere e avere a che fare con tutto questo, trovandosi a dover scegliere tra la loro passione e le rigide regole di sopravvivenza che il QT8 impone.

Su tutto questo ho potuto confrontarmi con uno dei suoi due registi, Domenico Croce, classe 1992 e vincitore insieme a Stefano Malchiodi di un David di Donatello nel 2021 per il cortometraggio Anne.

Domenico Croce

Come è nato il progetto di Hype e come è evoluto questo tuo passaggio alla serialità?

Hype nasce da un’idea di Libero Pastore che ha scritto il concept della serie insieme a Giulio Lepri e Gemma Pistis. Libero viene da QT8, il quartiere da cui tutto inizia nella serie, è appassionato di musica rap ed in particolare di Ernia, con il quale condivide proprio la provenienza. Un giorno ha provato a contattarlo via Instagram (tramite il profilo di Lepri, perché Libero non ne ha uno) per parlargli proprio della serie… e lui ha risposto! Ha letto la primissima bozza del progetto e si è detto subito interessato. Nel frattempo Hype era arrivata anche nelle mani di Fidelio, che aveva opzionato il soggetto, e si è messa presto a collaborare con Thaurus (l’etichetta di Ernia). Quando finalmente la serie è approdata a Rai Fiction, è salito a bordo anche Salvatore De Mola, con il quale è potuto iniziare lo sviluppo definitivo della storia. Personalmente passare dal cinema alla serialità è stato più traumatico nelle aspettative, che nei fatti. Rai Fiction voleva una serie dal linguaggio diverso dai propri standard, quindi io e Fabio Mollo (l’altro regista della serie) ci siamo presi la responsabilità di adottare una grammatica più cinematografica. Fidelio ci ha sostenuto in questa scelta e Michele Brandstetter, il direttore della fotografia, ha fatto il resto: all’interno di un progetto relativamente contenuto, è riuscito a tradurre le nostre volontà in un’identità visiva decisamente distintiva.

Negli episodi si utilizza spesso il bianco e nero, mentre in alcune scene vediamo comparire dei dettagli colorati, cosa si voleva comunicare allo spettatore adottando questa scelta?

Il bianco e nero viene adottato all’inizio di ogni episodio e, insieme al voice over di Ernia, costituiscono il punto di vista del quartiere sulla vicenda. È un’idea nata in corso d’opera: io e Fabio sapevamo di voler utilizzare il bianco e nero, perché uno strumento caro al mondo della musica rap e hip hop; insieme a Brandstetter ne siamo venuti a capo con questa intuizione. Per quanto la serie non manchi di diversi punti di vista, quello esterno (e, per certi versi, sociale) ci è sembrato necessario: è un elemento culturalmente caro e calzante, quindi andava letteralmente visualizzato per poterlo distinguere. Anche in queste scene però compaiono, di tanto in tanto, delle pennellate di colore, atte a significare che tutti i punti di vista – in fondo – devono pur convivere.

Milano e il quartiere QT8 sono veri protagonisti in questa serie, in particolare il quartiere sembra quasi essere un altro personaggio. Le stesse riprese sono spesso dall’alto e hanno dei colori freddi quando si tratta di inquadrare gli edifici e l’ambientazione del posto. Come mai la scelta di questo specifico quartiere? Cosa si voleva comunicare con questo tipo di ripresa e fotografia?

Al di là del bianco e nero, non ci sono altre motivazioni “simboliche” che hanno dettato le scelte cromatiche. È una storia che parla di riscatto, di come si impara a convivere con una forte mancanza, di fame e voglia di farcela… quindi sicuramente non potevamo optare per una palette calda, dai toni saturi o pastello. QT8, oltre a essere il quartiere di provenienza di Ernia e Pastore, rappresenta un unicum nell’organismo-Milano. Nasce come un’utopia urbanistica per cui diversi architetti di fama sono stati chiamati a ragionare su come restituire le case a tutti quei cittadini che l’avevano persa durante i bombardamenti della seconda guerra mondiale. L’idea era quella di unire più classi sociali nello stesso luogo, fornendo villette a schiera per la media borghesia, fino alle palazzine e agli edifici in linea multipiano per le classi via via più popolari. Il tutto è immerso in una grande area verde, che è un altro elemento totalmente distintivo per Milano. Il concetto di condivisione, che oggi rappresenta un’eredità importante per il quartiere, proprio per come si è evoluta la società, è proprio alla base del tema della serie. Quindi, in un certo senso, è come se QT8 ci abbia chiamati per essere coinvolto.

“Quando furono immaginate le favole finiscono male” questa è la frase che sentiamo nei voice over di Ernia, qui anche attore nella serie, una collaborazione con il mondo rap che ha visto la partecipazione anche dei 2Rari. Alla luce di questo come è stato gestire la musicalità che si percepisce a partire dalle narrazioni di Ernia e a seguire di alcuni personaggi come Luca, che tendono proprio a parlare con una certa “sonorità”, un richiamo al mondo rap senza dubbio ma sicuramente un rischio che poteva cadere nel macchietismo.

Lorenzo Aloi (Luca nella serie) e Gabriele Careddu (Marco) hanno seguito un training diverso rispetto al resto del cast. Loro dovevano poter cantare quelle canzoni e poterle performare, che è un passaggio ulteriore e distinto. Quindi hanno incontrato Ernia più volte rispetto agli altri, lui ha condiviso la sua esperienza con loro, ma soprattutto hanno seguito una preparazione artistica e fisica con Elisabetta Cois (la vocal coach di Ernia e tanti altri artisti). Tutto questo ha consentito a Lorenzo e Gabriele di appropriarsi della fiducia necessaria per affrontare l’interpretazione. E a noi di allontanare il rischio di scadere nel macchiettismo.

La storia dei ragazzi del QT8 riassume molto anche la situazione del mercato discografico di oggi, dove grazie ad un videoclip autoprodotto con migliaia di visualizzazioni i ragazzi possono aspirare a contratti con case discografiche importanti. Un mondo più democratico da un lato ma disposto a rigettarti appena la popolarità inizia a cedere. Si può quindi percepire un messaggio nella serie rivolta al potere e pericolo dei social in questo senso?

I social sono solo uno strumento che, in quanto tale, non può arbitrariamente farti del male. È una vecchia storia: ogni volta che l’essere umano ha esteso il potere della propria mano ha portato creatività e distruzione. La cosa incredibile è che sembriamo dimenticarcene ogni volta di fronte ad una nuova invenzione: dovrebbe ormai essere una nozione insita nel nostro DNA, come un meccanismo di autodifesa. Quindi c’è sicuramente una sorta di “denuncia” da questo punto di vista nella serie, ma lo trovo un messaggio totalmente umano.

Con il personaggio di Anna, ragazza sicuramente più agiata rispetto agli amici del quartiere, si mette in ampio risalto il tema della differenziazione sociale e di quanto questa crei vantaggi a livello di possibilità. Possiamo quindi dire che Hype vuole trasmettere anche un po’ di critica sociale su questo?

Preferisco chiamarla “lettura” sociale, anche se “critica” è il termine esatto e, purtroppo, spesso travisato. Anna è ricca, ma questo non ne fa un personaggio dickensiano. Lo stesso Massimo, suo padre, sembra avere delle motivazioni piuttosto ragionevoli rispetto al suo atteggiamento. Quello che li contraddistingue è la visione dell’insieme e questa, secondo me, è una lettura sociale piuttosto evidente e da portare all’attenzione oggi. Anna non sa cantare e performare, ma la sua passione per il rap l’ha portata comunque ad arrangiarsi e a sfruttare la sua stessa passione per il filmaking nel contribuire alla visione che ha avuto con i suoi amici. Massimo, dal canto suo, è una figura più individualista: simbolicamente anche il suo stesso strumento, il pianoforte, un po’ lo rappresenta. Questi contrasti però sono presenti anche in personaggi che appartengono ad altre classi sociali. La frattura si crea ogni volta che l’individualismo prova ad affermare la propria visione, non quando certi strumenti sono più facili da raggiungere per alcuni rispetto ad altri: la società ha faticato per secoli pur di fornire alternative al divario economico, e ora stiamo inspiegabilmente iniziando a privarcene. Questo è il fascino dell’individualismo.

Domenico Croce

Hype parla dei sogni e valori di ragazzi dai 17 ai 20 anni. Possiamo considerare la serie come un prodotto destinato al pubblico Gen Z o ha una destinazione più ampia?

Come prodotto commerciale, Hype ha necessariamente un pubblico di riferimento, facilmente individuabile nella Gen Z. Tuttavia è indubbio che molti ingredienti al suo interno la rendano appetibile anche per un pubblico più ampio, a patto che sia disposto ad accettare la “regola” d’ingaggio. Il mio bisogno sarebbe quello di arrivare a più persone possibili, ma Hype è un progetto con le sue specificità ed è solo raccontandole nella maniera più sincera che anche noi artisti possiamo sperare di arrivare a più gente possibile.

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Hype. Regia di Fabio Mollo e Domenico Croce. Soggetto di Gemma Pistis e Salvatore De Mola, Giulio Lepri, Libero Pastore; sceneggiatura di Gemma Pistis e Salvatore De Mola, Giulio Lepri, Libero Pastore.  Con Lorenzo Aloi, Martina Sini, Gabriele Careddu, Luka Zunic, Luigi Bruno, Fabio Barone, Dalila De Marco, Arianna Grillo, Leonardo Giuliani, Sabrine Zahid e Noè Batita. Con la partecipazione  e musica di Ernia,  I 2 Rari e Stefano Milella; fotografia di Michele Bransetter. Coprodotta da Rai Fiction  e Fidelio.

Foto: Domenico Croce

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