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Hollywood e il tema della diversità nel cinema

A seguito della recente notizia concernente il casting di Paapa Essiedu per Severus Piton in Harry Potter, riflettiamo sul problema dell’inclusione a Hollywood.

Che l’industria cinematografica statunitense detenga un problema di inclusività non é una novità. Hollywood é nota per vantare cast a prevalenza (se non esclusività) di attori bianchi o caucasici e ciò, nel corso del tempo, ha generato lunghi e dolorosi dibattiti sul tema dell’inclusività all’interno del mondo cinematografico. Secondo uno studio del 2016 condotto dall’UCLA, solamente il 13,8% dei lungometraggi ha come protagonista un attore con etnia non bianca il che si traduce in 1,4 attori su 10. Non solo: per ben due anni l’Academy non ha candidato nessun attore definibile come person of color nelle categorie principali scatenando così l’ira degli utenti che sui social hanno lanciato lo slogan Oscar So White.

Quindi come ha deciso di reagire l’industria cinematografica statunitense a queste rimostranze?

Danzel Washington e Halle Berry.

Negli ultimi anni abbiamo assistito all’imposizione di una pluralità di identità fin’ora estremamente sporadiche ad Hollywood, il che rappresenta sicuramente un passo in avanti nell’assunzione di consapevolezza – si ricordino le vittorie agli Academy Awards di film come Get Out (2017), Coco (2017) o Everything, Everywhere All At Once (2022) – eppure, c’é ancora qualcosa di stridente.

A creare dissonanza é infatti la modalità ancora estremamente goffa e poco autentica con cui l’industria sta tentando di arricchire di diversità la propria proposta. Hanno lasciato perplessi e acceso gli animi degli spettatori i recentissimi remake de La Sirenetta (2023) o Biancaneve (2024), l’annuncio della serie di Harry Potter dove interpreti di etnia diversa da quella caucasica hanno prestato il volto a personaggi originariamente bianchi. Ma perché tanto astio?

L’argomento é complesso e difficilmente riassumibile tuttavia, brevemente, possiamo attribuire le motivazioni “ufficiali” di queste polemiche a ragioni imputabili all’effetto nostalgia, alla mancanza di adesione a canoni specifici della storia che si narra o razzismo interiorizzato.

Evidente risulta come Hollywood preferisca monetizzare su un’inclusione “facile” e non sinceramente avvertita. Il race swapping permette infatti di accontentare quasi tutti e assicurarsi guadagni sicuri ciononostante, non provoca alcun beneficio negli artisti o nelle categorie coinvolte perché genera – nel più dei casi – fenomeni di odio e discriminazione nei riguardi dei protagonisti.

Ci si chiede se, in fondo, anche questa dell’hate watching non sia una strategia dell’industria hollywoodiana per generare introiti ma, al di là di questo dubbio che rimane insondabile al momento, quello che é certo é che questo tipo di promozione di inclusività non sta portando alcun beneficio reale.

Interessante é poi come notare tali dissensi non vengano sollevati in casi opposti (rammentiamo alcuni esempi: Emma Stone che incarna un personaggio hawaiiano in Alhoa!, Ben Kingsley che prestò il volto a Ghandi in un biopic) ed emerge evidentemente lo spirito ipocrita non solo di Hollywood ma anche dei detrattori. Perché tanta rabbia per l’annuncio di un Severus Piton nero ma non altrettanta per il whitewashing subito dal personaggio di Mosé in Exodus (2014)?

D’altro canto é anche ingenuo fomentarsi a tal punto per qualcosa di assolutamente naturale come lo é la rappresentazione di innumerevoli identità esistenti e dimostra superficialità il desiderio di voler vedere solamente la propria etnia rappresentata. Hollywood quindi sta facendo marketing sull’inclusività, l’abbiamo detto, tuttavia, é anche assurdo pensare che le uniche realtà possibili al cinema siano quelle bianche.

Emma Stone e Bradley Cooper nel film Alhoa.

Ma dunque, concretamente, cosa possiamo fare per promuovere diversità e inclusione all’interno dell’industria cinematografica? Il primo passo é indubbiamente quello di sostenere ed incoraggiare produzioni che narrano storie nuove e di minoranze marginalizzate. Non solo davanti allo schermo, ma anche nei ruoli di maestranza. Inoltre, possiamo renderci spettatori consapevoli e diffondere informazione su temi di whitewashing, yellowface e inclusione.

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