“Ho sognato Celestino”: da L’Aquila un segno di rinascita.

di Miriam Bocchino

 

 

Rinascita: la possibilità di ricominciare, di ricostruire un futuro, nonostante le macerie dell’esistenza. Da L’Aquila si è ripreso il cammino dell’arte.

“Ho sognato Celestino”, andato in scena alla Basilica di Collemaggio il 19 maggio, è simbolo della rinascita culturale del Paese, divenendo, di fatto, il primo spettacolo tenutosi dal vivo nel periodo di convivenza con il Covid – 19.

L’opera è anticipatrice dell’apertura del 15 giugno in cui i teatri e i cinema d’Italia avranno la possibilità di ripartire. Possibilità che per molti, tuttavia, simboleggerà solo un’impossibilità.

“Ho sognato Celestino”, promosso dal Comune dell’Aquila, prodotto dal Teatro Stabile d’Abruzzo e patrocinato dall’Arcidiocesi dell’Aquila, è stato un omaggio al Papa Santo Celestino V nel giorno in cui si celebravano i 724 anni dalla sua scomparsa.

Lo spettacolo è stato preceduto da una prolusione del parroco Don Nunzio Spinelli e del sindaco della città Luigi Biondi, alla presenza di una rappresentanza del personale sanitario dell’ospedale San Salvatore dell’Aquila, oltre alle autorità civili, militari e religiose.

L’attenzione del parroco si è concentrata sull’alto valore morale e religioso che la figura di Papa Celestino ha avuto e possiede tutt’oggi, grazie alla bolla del perdono da lui firmata il 29 settembre del 1294 e che recentemente è stata dichiarata dall’UNESCO “Patrimonio immateriale dell’umanità”. È stata definita dal sindaco “un segno forte di universalità” e un motivo per celebrare attraverso la figura di Papa Celestino le persone che si sono prese cura di noi durante questo periodo di profondo dolore.

L’obiettivo di rendere L’Aquila la prossima Capitale della Cultura 2022 consente di comprendere ancora di più la forte valenza simbolica dello spettacolo.

Tra le mura adombrate della Basilica di Collemaggio, nella sacralità di un luogo intriso di storia, L’Aquila lancia un messaggio di speranza, nel testo di Simone Cristicchi scritto insieme a Matteo Pelliti accompagnato dal suono del violino e del pianoforte di Alessandro Quarta.

La primavera mai giunta, per l’arrivo della più grande tempesta mai abbattutosi sul mondo moderno, ha spezzato via certezze, illusioni e speranze.

Cristicchi, in un linguaggio elegante e colto, dona vita alla paura che ha accompagnato i giorni, le notti e le ore: quella per il virus. Un virus che in Cristicchi si interroga sul suo valore rispetto alle azioni compiute nei secoli dall’uomo.

“Ti rammento che io nel mio fare mai potrei eguagliare lo strame di morte che tu nei secoli hai lasciato”.

Il virus chiede all’uomo chi tra i due è più letale e la risposta non tarda a giungere, dolorosa e implacabile.

Nel violino, che in Alessandro Quarta, diviene danza e pensiero, si annida il senso recondito delle parole appena ascoltate. Il musicista esegue alcuni brani dal suo repertorio, tra cui “Adagio e Fuga” della prima sonata in Sol minore di J.S. Bach, un medley di brani Paganini – Quarta, il suo ultimo brano “Andrà Tutto Bene” e al pianoforte due brani di Simone Cristicchi “L’uomo del mistero” e “Lo chiederemo agli alberi.

Cristicchi ora diviene uomo, racconta di come la notte sogni quel virus e di come nel suo mondo immaginario i sorrisi, gli abbracci e le strette di mano non esistano più; un sogno oramai incubo in cui il silenzio è interrotto dallo stridio delle ambulanze e dei camion che trasportano bare.

“La paura è il virus più potente di tutti”.

Ma il sogno di Cristicchi evolve, si modifica e giunge alle montagne dell’Abruzzo e agli occhi di un eremita, quelli di Celestino.

Un uomo che rifugge la sete di potere che governa il mondo e lo fa attraverso la preghiera e il silenzio, nelle grotte del Monte Morrone.

Cristicchi riesce a rendere chiaro il suo messaggio: quelle grotte di salvezza oggi sono le nostre case, luoghi di accudimento e di rifugio, in cui scoprire la propria umanità è diventata forse la paura più grande. Il silenzio copre le vite di chi è divenuto un nuovo “eremita”.

Celestino che diviene papa ci insegna, infatti, l’importanza di tre parole: SILENZIO – PERDONO – SEMPLICITA’.

Tre parole che l’artista ci racconta come un cammino di fede e speranza.  

Silenzio da custodire per conoscerci ed ammettere le fragilità e la nostra bellezza.

Perdono in quanto il 29 settembre del 1294 Papa Celestino firma la bolla di indulgenza plenaria e perpetua, insegnandoci che ci si può perdonare e consegnandola al nostro oggi, come atto di fratellanza e perdono.

“L’anima dell’uomo e l’anima del creato devono ritrovare la propria armonia”.

La semplicità, infine, è il valore della chiarezza e della “trasparenza tra parola e azione”.

La vita di Celestino che, il 13 dicembre 1294, rifiuta il pontificato divenendo nuovamente un’eremita è il più grande atto di semplicità e di potenza. Un atto che Cristicchi ritrova in chi ha scelto in questi mesi di stare chiuso nella propria casa per il bene altrui.

Lo spettacolo consente di comprendere la delicatezza e la necessità di riscoprire la bellezza nel “giorno di domani”.

Il cammino, come quello di Papa Francesco il 20 marzo 2020 tra le strade deserte di Roma, è l’unico mezzo che l’uomo ha per trovare un senso a quest’oggi e al dolore che si è consumato.

La paura più grande non è più quella del virus bensì della mancanza di significato che può subentrare quando l’oggi diverrà passato.

Simone Cristicchi e Alessandro Quarta con la loro arte, fatta di parole e musica, lasciano in questo spettacolo un monito, un messaggio di comunità e la necessità di una riflessione profonda, che nelle loro espressioni artistiche trova compimento e beneficio.

“Cammino è cambiamento. Cammino è continuare a credere nel futuro, nel passo che segue ogni passo, un passo alla volta come un granello di tempo sottratto al nulla”.

Al termine della cerimonia il violinista Alessandro Quarta ha reso omaggio alla città dell’Aquila interpretando il brano “So sajituaju Gran Sassu”.