Herbarie, eredità di un segreto d’amore

Dietro la parola strega vi è la meraviglia del sapere femminile e la necessità di custodirlo.

“Se la meraviglia è una colpa,siamo colpevoli? Sì, colpevoli di meraviglia”. 

C’era un tempo in cui le donne vivevano a contatto con la natura, custodi di un antico sapere e libere di utilizzare questa conoscenza per aiutare i bisognosi. Poi venne un tempo oscuro che travolse le loro vite con crudeltà e tirannia, cercando di cancellare ogni loro traccia dal mondo in cui avevano fino al giorno prima gioiosamente e generosamente  vissuto. Questa non è una fiaba, è storia. La storia di coloro che furono chiamate streghe e dell’Inquisizione della Chiesa cattolica.

Elena Stabile, Brunella Petrini e Silvia Mazzotta

Herbarie. Le chiamavano streghe è uno spettacolo teatrale ora in scena al Teatro Trastevere fino al 16 febbraio. Tratto dal testo omonimo di Silvia Pietrovanni e adattato per il teatro da Isabella Moroni già nel 2019, anno in cui non andò in scena a causa del Covid, è la storia di una delle più tragiche persecuzioni mai attuate. 

Streghe, questo il termine con cui furono etichettate donne la cui colpa era la conoscenza delle erbe e l’uso che ne fecero per guarire le persone malate o bisognose di aiuto.

Conoscevano ogni pianta e le sue qualità, così come l’effetto degli astri sulla natura umana.

Non è infatti un racconto di magia, ma verità storica. Certo le tre protagoniste con i rispettivi nomi sono frutto di un processo immaginativo, ma tutte le persone che simboleggiano sono reali. Ogni fatto è verosimile.

Da subito in scena le tre attrici Silvia Mazzotta, Brunella Petrini ed Elena Stabile. Interpretano tre erboriste, che scopriremo rischiare la vita per il loro ideale di vita e libertà e che ci introducono  al tema dello spettacolo: la necessità che questo bagaglio di sapere prezioso e antico si tramandi di generazione in generazione grazie alla sapienza e virtù femminile. Due di loro sono intente a tessere una tela comune, come Moire, e a profetizzare un futuro tenebroso, a cui solo fili ribelli potranno opporre resistenza. Nell’oscurità il filo del sapere risplende e le tre donne, tessitrici di antichi segreti, squarciano le tenebre con un monito profetico: ricordarsi dei fili ribelli. Dopo brevi istanti di buio totale una delle tre donne torna, ma questa volta in abiti differenti, quelli del convento. È Lucia, la figlia, che parla della sua infanzia e ricorda i bei momenti vissuti con la madre Caterina e la saggia nonna Mercuria.

Tornano sul palco le altre due donne e da qui si intraprende la strada di una scena che ospita contemporaneamente passato e presente. L’atmosfera è struggente, un rimembrare leggiadro, un naufragare nella dolcezza dei ricordi tra piante e sorrisi; ma conosciamo ormai bene la tetra sorte che aleggia cupa dietro questa nostalgia, l’Inquisizione è ben nota e la preoccupazione per le protagoniste si fa viva. Le tre herbarie hanno culti pagani, ma sono anche figlie del loro tempo, per cui le vediamo muoversi in un sincretismo tipico dell’epoca. Pregano Maria e conoscono bene il culto dei santi. Tuttavia sanno bene che il cristianesimo sta diventando una grave minaccia per il loro libero agire e in aperta polemica sottolineano quanto il maschilismo di questo sia in antitesi con la sapienza della Terra e delle dee pagane della natura che loro venerano e da cui traggono insegnamento. Si cita con tanto di segno della croce San Paolo con le sue parole incriminate  che sembrano relegare la donna in una condizione di inferiorità.

Rimembrare, non dimenticare. Questo è il fulcro del testo. L’eredità di queste donne e l’eredità, più in generale, dei perseguitati vanno mantenute in vita.

Silvia Mazzotta interpreta più ruoli, fra cui lo spietato inquisitore dal mantello rosso sangue. La versatilità e bravura dell’attrice è da encomiare, il suo si rivela un dinamico alternarsi di ruoli e tempi. 

Molte le trovate interessanti a cui fa ricorso il regista Ivan Vincenzo Cozzi. Da citare l’uso del pestello e del mortaio come strumenti musicali a percussione, uno stratagemma che dà vita a una bizzarra orchestra e a un concerto di canti popolari sulle erbe medicinali. Incisiva e angosciante la scena dell’interrogatorio che termina in una logorante tortura.

Con il suo pesante mantello l’inquisitore si muove minaccioso, alzandosi e abbassandosi come una serpe a sonagli che muove le corde legate ai polsi della vittima. Un mantello che, gestito in questo modo, potrebbe anche evocare le ali di Lucifero, il demonio di cui le streghe erano accusate essere amiche, ma che sembra molto più vicino alla Chiesa di quei tempi che, ovviamente, a quelle donne innocenti e sagge.

Herbarie. Le chiamavano streghe racconta la fine di un tempo e l’inizio di un mito. Invita a preservare sempre la memoria degli oppressi, esortazione quanto mai importante anche ai giorni d’oggi. Ci narra la storia di una medicina accogliente e vicina alla gente anche nell’ascolto e nella dolcezza dei modi. Una medicina che oggigiorno si sta riscoprendo con le arti mediche dell’erboristeria e dell’omeopatia. 

Brunella Petrini, Silvia Mazzotta ed Elena Stabile

Uno spettacolo sul tema della memoria e dell’empatia, della solidarietà femminile e dell’importanza di vivere in armonia con la natura, maestra di segreti salvifici. Uno spettacolo che insegna a non dare mai per scontata la bellezza di essere donna.

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Herbarie. Le chiamavano streghe di Silvia Pietrovanni – Regia di Ivan Vincenzo Cozzi – Adattamento di Isabella Moroni – con: Brunella Petrini (Mercuria), Elena Stabile (Caterina), Silvia Mazzotta (Lucia) – Musiche originali: Tito Rinesi – Costumi: Marco Berrettoni – Luci e fonica: Andrea Memoli – Teatro Trastevere dall’11 al 16 febbraio 2025