Memoria, corpo, vita: al Comunale di Vicenza, “Gli anni” di Marco D’Agostin, con Marta Ciappina.
Che cos’è la memoria se non un incrocio di fatti personali e di grandi eventi, di frammenti dispersi nel tempo e di ritorni e rimandi mentali collettivi. La memoria può declinarsi in infinite definizioni biografiche, psicologiche, storiche, culturali abitando, però, sempre un confine, una linea sottile tra zone immense: la narrazione personale e quella collettiva, se stessi e il contesto circostante. La memoria nasce e si trova a metà, qui, tra i limiti della vita. Uno stare e un essere nel mezzo.
Marco D’Agostin con Gli anni, all’interno della nuova edizione di Danza in Rete Festival Vicenza-Schio, porta sul palco il costante oscillare tra le sponde labili di un tempo che abbraccia l’interprete, la sua storia e il marasma del passato storico collettivo. Questa sorta di doppio percorso avviene grazie alla presenza di alcuni oggetti evocativi e alla danza, a quei movimenti portati all’estremo, concentrati, alcuni ripetuti, ripresi “al contrario” su cui si focalizza l’intero spettacolo. La performance ha già conosciuto apprezzamento e grande riconoscimento, vincitrice del Premio Ubu 2023 come miglior spettacolo di danza e come miglior performer/attrice femminile.
Il testo da cui D’Agostin trae questa chiave di lettura è il romanzo omonimo della scrittrice francese Annie Ernaux, modellato, riproposto a teatro in maniera personalizzata, “su misura”. La consistenza e la trama, infatti, vengono sviluppate e si modulano sulla protagonista principale, la danzatrice Marta Ciappina. Il suo è un assolo potente e delicato allo stesso tempo: dall’inizio fino alla fine, quest’interprete riporta la narrazione della sua biografia attraversata e intessuta da alcune rievocazioni di fatti collettivi importanti.
Lei stessa rivive parti della sua vita, proprio a partire da quel conto iniziale che ricorda il gioco d’infanzia, incanalata e, visivamente, trapassata dalla storia grande del suo tempo. Un tempo storico comune richiamato, per esempio, da alcuni audio originali tratti da video e da pellicole storiche italiane, legati al referendum sul divorzio, alla politica, al suono violento delle esplosioni. Momenti topici della storia nazionale. O più, semplicemente, ad alcune frasi a mò di cenni rapidi e improvvisi enunciati dalla stessa performer. Archi temporali diversi per riportare la memoria e le sue tracce.
Questa sorta di doppia rappresentazione è costituita da momenti dotati di grande forza, vigore, sofferenza, intensità in alcuni punti, per poi declinarsi in maniera malinconica, dolce, anche ironica in altri scorci. Il percorso di Marta Ciappina tocca le vette altalenanti del ricordo, in un gioco circolare (il palcoscenico) tra il prima e il dopo, tra lei stessa e il resto del contesto, sia quello rievocato ma anche quello presente, caratterizzato dalla presenza del pubblico. Gli anni chiama lo spettatore e lo rende partecipe, lo coinvolge, con la richiesta della dedica musicale finale e con una serie di oggetti particolari che la protagonista porta in scena. Questi attivano il vissuto passato, quella memoria in costante oscillazione tra l’ora e il prima.
La memoria diviene, così, viva e si “racconta” attraverso il lavoro e la concentrazione su più sfere sensoriali, tramite il corpo, gli oggetti, le canzoni, gli audio originali e i filmati veri della vita della stessa performer. Marta Ciappina, sulla scia di questa continuità memoriale, non interrompe mai il rapporto e il dialogo con la platea, attraverso lo sguardo, i gesti, le frasi. Ne nasce così un’interpretazione scritta “a cento mani”.
La cartella, le cuffie, il telefono con la cornetta, il cane, le tessere dello scarabeo: l’oggetto abita un senso personale in ogni persona che lo vede, ripercorrendo il suo ricordo attraverso le mani, il visto, gli occhi, il corpo di Marta Ciappina. Ed è così che subentra la terza tipologia di memoria, se così vogliamo definirla: quella del pubblico e del singolo, mentre rimbombano i suoni, la playlist di canzoni e i movimenti danzanti occupano precisi spazi teatrali. Gli anni diventano gli anni di tutti, personali e mai uguali eppure comuni, nello stesso istante. Quel “siamo qui noi” del brano degli 883.
Marco D’Agostin ha saputo così creare un meccanismo di evocazioni e di interpretazioni difficile, complesso, non sempre capibile nell’immediato. Alcuni riferimenti presenti non sono scontati e acquistano quel senso e quell’impatto solo se conosciuti e vissuti. Dare un quadro chiaro e univoco è impossibile perché uno spettacolo così, con una sua struttura e una sua storia tra mille altre storie innescate, è qualcosa che va oltre il razionale e può solo abbracciare il corpo, l’essenza di ciò che si è vissuto in prima persona. A livello personale, per esempio, ho trovato la canzone d’apertura di Achille Lauro un pugno allo stomaco e una carezza sul viso nello stesso momento, un inizio ad impatto emotivo straordinario.
“Desideravo molto fare un lavoro con Marta, che cucisse insieme gli anni della sua vita, gli anni delle vite di tutti noi, insieme alle canzoni, questa è stata l’idea iniziale. Unire la vita di Marta alla vita di chi non è Marta.” In questa dichiarazione di Marco d’Agostin, fatta al termine dell’esibizione, sta il principio di questo lavoro, l’oscillazione costante tra confini diversi che, per una sera intera, si sono manifestati aprendosi alla memoria e al ricordo a loro volta.
E come non sentire, allora, da lontano, gli echi di uno dei romanzi di Gabriel Garcia Marquez, dedicato alla sua straordinaria vita, Vivere per raccontarla, che forse ben descrivono l’essenza e la direzione di quanto proposto:” La vita non è quella che si è vissuta, ma quella che si ricorda e come la si ricorda per raccontarla”. Vale sempre la pena, scrivere, danzare, interpretare per narrare e ricordare in tutte le forme possibili.
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Gli anni – di: Marco D’Agostin – con: Marta Ciappina – suono e grafica: Luca Scapellato – luci: Paolo Tizianel – conversazioni: Lisa Ferlazzo Natoli, Paolo Ruffini, Claudio Cirri – video editing: Alice Brazzit – costruzione elementi scenici: Piccolo Teatro di Milano – Teatro d’Europa – produzione: VAN – promozione, cura: Damien Modolo – organizzazione: Eleonora Cavallo – amministrazione: Federica Giuliano, Irene Maiolin – coproduzione: Centro Nazionale di Produzione della Danza Virgilio Sieni e Fondazione CR Firenze; Piccolo Teatro di Milano – Teatro d’Europa; Emilia Romagna Teatro ERT/ Teatro Nazionale; Festival Aperto – Fondazione I Teatri; Tanzhaus nrw, Düsseldorf; Snaporaz – sostegni: L’arboreto – Teatro Dimora | La Corte Ospitale ::: Centro di Residenza Emilia- Romagna; CSC/OperaEstate Festival Veneto – con il supporto: dell’Istituto Italiano di Cultura di Colonia/MiC-Direzione Generale Spettacolo e Tanzhaus nrw, Düsseldorf, nell’ambito di NID international residencies programme – Teatro Comunale di Vicenza 23 febbraio 2024
Immagine in evidenza/di copertina: ©Michelle Davis