Chiacchiere intorno al teatro. Un’intervista a Giuseppe Pambieri

Al Teatro Vittoria, ancora per qualche giorno, in scena il duo Greco-Pambieri con “Nota Stonata”: una messinscena densa e coinvolgente da non perdere. Un’ottima occasione per non dimenticare.

Così, a pochi giorni dall’essere stati spettatori di una sopraffina interpretazione che ha dato nuovamente lustro ad un teatro “tradizionale” – il che lo definirei una qualità da non sottovalutare; piuttosto che un elemento da cui rifuggire – abbiamo avuto modo di conversare piacevolmente con chi di teatro sa il fatto suo; colui che ha visto dall’interno del suo alveare il decorrere della storia del teatro, consegnandone allo spettatore di oggi l’eredità.

Ebbene sì, stiamo parlando proprio di lui: Giuseppe Pambieri – attore noto ai più per la sua partecipazione nella fiction televisiva “Sorelle Materassi” – oggi più che mai si fa portavoce di un impoverimento della scena teatrale; una crisi che attecchisce non solo tutto un sistema fallace, ma che sembra irradiarsi tra le fila di chi questa professione ne è il rappresentante. La sua – probabilmente – una riflessione un po’ caustica; ma che in questi tempi bui lascia sicuramente da pensare:

Oggi come oggi c’è stato un’inflazione della televisione che ha portato molti attori in teatro senza averne le qualità e le possibilità e per cui ci sono molti “attori non attori” […] Ci sono senz’altro giovani con grande volontà e voglia di fare, ma bisogna che siano un po’ più umili. Questo è un mondo molto particolare, sempre più difficile: ai nostri tempi, quando ero giovane, era un po’ più facile perché i canali non si moltiplicavano così come adesso. Adesso vi è una dispersione pazzesca.

E proprio per rimanere in tema di ricordi – giusto per essere un po’ nostalgici – qual è stata la spinta che lo ha avvicinato al teatro? Che le ha suscitato fascinazione?

Fin da piccolo mi appassionavano moltissimo i primissimi sceneggiati che facevano – ancora li ricordo. Mi affascinava da pazzi il mestiere dell’attore e da sempre sognavo! Poi mi sono iscritto a Legge, ma ero talmente attratto dal mestiere dell’attore che mi sono affacciato alla Scuola del Piccolo Teatro. Lì mi han detto che erano appena concluse le sessioni. Dopo pochi secondi mi son sentito chiamare da Alberto Sironi, dicendomi che avevano aperto un’altra sessione di esami. Così, fatto l’esame sono entrato nella Scuola del Piccolo.

Ma, qual è stato il suo incontro speciale nel teatro? Quello che le ha fatto capire che quella che stesse perseguendo fosse la strada giusta?

Già giovanissimo avevo fatto delle piccole cose. Nel ’66 sono stato preso nell’ “Arlecchino servitore di due padroni”, girando per tutta Europa. Ma, la persona che ha focalizzato su di me l’identità dell’attore è stato Franco Enriquez. Il suo incontro è stato fondamentale, oltre che fortuito – e la fortuna è un elemento determinante nel nostro mestiere. Il mio debutto, quindi, è stato a ventitré anni sul palco del Teatro Olimpico di Vicenza con “Le mosche” di Sartre nel ruolo da protagonista di Oreste accanto a due mostri sacri come Valeria Moriconi e Renzo Montagnani, che erano nel massimo della loro carriera. […] La Moriconi mi teneva il braccio come per darmi forza. È stata una compagna di lavoro stupenda. Quella è stata un’esperienza folgorante.

Dal teatro, passando per il cinema e la televisione, possiamo dire che non se ne è fatta mancare nessuna! La sua è stata una carriera certamente variegata.

Assolutamente! Ho provato un po’ tutte le esperienze dell’attore. Secondo me, se uno fa l’attore deve essere capace di affrontare ogni tipo di interpretazione; da quella comica a quella drammatica. Ci si diverte anche di più; se no che senso ha fare soltanto una cliché! Poi uno bravo nei tempi comici è sicuramente bravo anche nella tragedia; uno bravo nella tragedia sa fare solo quello perché i tempi comici sono fondamentali per il teatro; danno proprio il ritmo al lavoro. Il ritmo, peraltro, in un lavoro teatrale può essere fatto di pause. In “Nota Stonata”, difatti, uno potrebbe dire «mamma che lentezza»; ma la lentezza tante volte può venire anche con una battuta dopo l’altra se non agganci il pubblico. Per questo, certe volte, la pausa tiene agganciato il pubblico anche più di una battuta. Dipende da come saperla fare! Importante è la tensione da tenere sia nell’atteggiamento sia nella sospensione della battuta precedente lasciando intendere qualcosa di importante che non arriva.

Saper tenere la scena e saperla tenere bene è una qualità che, a volte, oggi sembra difficile da rintracciare. Spesso capita che l’attore non riesca ad agganciare lo spettatore e a mantenere per tutto lo spettacolo la sua attenzione.

Si tratta di carisma: quello o ce l’hai o non ce l’hai! Sono doti di natura, che puoi sicuramente affinare. Ecco perché cominciare presto! Io dico sempre ai giovani: «se vuoi fare; se hai talento, devi cominciare presto così da fare esperienza in televisione, cinema o teatro». Non dimenticando però che il teatro è fondamentale. Tornare in teatro, d’altronde, è come purificarsi. Poi oggi c’è un enorme massa di attorialità che si affaccia alla professione, che spesso non ha le qualità pur essendo appassionata; affascinata. Non sa bene a quale realtà va incontro.

Una realtà, oggi, anche piuttosto incerta.

Beh, stiamo vivendo una crisi epocale del teatro. Questa volta vera. Il teatro è sempre stato in crisi – è un luogo comune questo; ma adesso è veramente in crisi! Chi aveva mille abbonati ora non ne ha nemmeno uno. Questo soprattutto nelle grandi città. In provincia meno; c’è più possibilità di agganciare il pubblico anche fuori dal teatro. Poi il nostro sistema teatrale è un sistema perverso: è l’unico per cui tu fai uno spettacolo; debutti e vai in scena per soli dieci giorni e basta. Non come Parigi e Londra dove stai in un teatro anche mesi. Ad esempio, proprio “Nota Stonata”, in Francia ha fatto più di quattrocento repliche in uno stesso teatro. Noi abbiamo una Legge sul teatro risalente ancora all’Ottocento e non si fa nulla!

Nonostante l’amara situazione in cui il teatro oggigiorno versa, è una realtà in cui ci si riconosce?

Sono nato teatrale e morirò teatrale! Il teatro per me è fondamentale; è la mia essenza. Mi piace moltissimo fare anche televisione, cinema o doppiaggio. Non disdegno nessun tipo di nostra attività attoriale. Ciò che mi rappresenta è sicuramente un misto tra teatro e televisione. L’incontro con il teatro; l’impronta dei grandi registri (Strehler, Ronconi, Zeffirelli), di certo mi ha dato moltissimo. Il teatro resta comunque fondamentale per me.

Prospettive teatrali; auspici. Come lo vede il destino del teatro?

Ad oggi buio; però quando si fornisce un bello spettacolo la gente si entusiasma. In questo momento, pertanto, conta molto il passaparola. Poi è importante avere la coscienza a posto quando sai che porti uno spettacolo che funziona.

E “Nota Stonata” è tra quelli. Uno spettacolo ben fatto e molto forte nei contenuti.

Molto forte, sì; ma anche rassicurante alla fine. È un testo ben scritto, quello di Didier Caron. Tradotto peraltro molto bene da Carlo Greco che se ne è fin da subito innamorato.

Se siete quindi in cerca di un teatro ben fatto e che vi rubi letteralmente l’attenzione, non dovete assolutamente mancare di vederlo. “Nota Stonata” sarà di scena al Teatro Vittoria fino al 29 gennaio. Nel frattempo, ci diamo appuntamento con Pambieri che prossimamente tornerà sullo stesso palco con “Una storia semplice”.