Il bene vince sì sul male, ma in cambio chiede il sacrificio della vita. La libertà, quella vera, disinteressata, d’animo, conduce inevitabilmente alla tragedia. Così disciplina la trama del “Giulio Cesare” di William Shakespeare, dramma che ha ispirato il testo di “Giulio” visto in scena allo Spazio Rossellini di Roma dal 2 al 4 dicembre. Adattamento firmato da Aleksandros Memetaj e Yoris Petrillo, scene di Federico Biancalani, Marco Ulivieri e Vittorio Cavallini. Produzione firmata Anonima Teatri, con il sostegno di Twain Centro di Produzione Danza, Dance Project Festival e il contributo di Regione Lazio Spettacolo dal Vivo.
Sull’ampio palco del Rossellini sedie sparse, un cubo-trono con trofei, dei separè e gli attrezzi da lavoro di un ciabattino. L’addetto alla manutenzione delle calzature è Giulio, giovane che per sua sfortuna viene a trovarsi nel posto sbagliato nel momento sbagliato. Mancano tre giorni alle Idi di Marzo, il destino dell’altro Giulio, Caio Giulio Cesare, Console e Dittatore della Repubblica romana, è segnato. La congiura è vicina, lui si incensa e si trastulla nelle sue vesti dorate, non sa. O forse sa ma non se ne cura, meglio autocelebrarsi.
I personaggi a lui intorno (Bruto, Cassio, Porzia) sono bloccati dalle catene della schiavitù. Sono mossi dalle leve dell’autodifesa, dell’insicurezza e dell’insoddisfazione. Che tradotti nel quotidiano, si esprimono nei “peggio” vizi: avarizia, gelosia, ingordigia, invidia, prepotenza, sete di potere. Come atomi si muovono in un circuito telecomandato. Ogni azione è guidata da uno scopo che è personale e, nel contempo, messaggio politico.
Il piccolo Giulio, servo di Bruto, sogna invece di diventare un uomo libero. E’ l’unico, che vuole uscire da questa giostra perversa, sospesa tra il grottesco e il malvagio. La sua morte, scandita dalle parole “Fare i bravi”, non avviene invano. E’ la fine anche della costruzione che c’è intorno, e dalle ceneri come ben sappiamo nasce nuova vita. Rinascita. Teatro civile e danza contemporanea insieme. Per un dinamismo e una ricchezza di piani narrativi che raramente abbiamo visto così intensi e profondi nelle proposte dei cartelloni romani. Almeno di questo 2022. Si vedono tutti i 2 anni di incubazione del progetto. Memetaj-Petrillo hanno ispirato un lavoro di efficace sperimentazione, unendo teatro civile, comunicazione del corpo e danza contemporanea. Arte, vera, completa, rotonda. Nel giusto equilibrio tra dramma e commedia surreale. Maniacale attenzione per i dettagli, diverse le finezze estetiche e tecniche funzionali alla drammaturgia, mai barocche, mai fini a sé stesse. E poi i messaggi sottesi. Le categorie sociali e di genere, qua evidenziate e là superate dalla scelta degli interpreti, della loro fisicità, dei costumi (firmati Elena Ciciani). Intanto, il disegno luci curato da Piermarco Lunghi, sposta continuamente il focus dello sviluppo.
Un capitolo a parte meritano gli interpreti: Beatrice Fedi, Caroline Loiseau, Fabio Pagano, Guido Targetti, Valerio Riondino e Umberto Gesi. Performers eccezionali e di grande preparazione che per 70 minuti hanno attaccato alle sedie il pubblico accorso a via della Vasca Navale.