Il 22 febbraio Giulietta Masina avrebbe compiuto 100 anni e si torna a parlare di lei come attrice, come compagna, musa ispiratrice, perno della vita di Federico Fellini, a cui rimane sempre indissolubilmente legata nella vita come nell’arte.
A fare luce sulla donna che è stata Giulietta, sui suoi tormenti, dispiaceri, amori, entusiasmi, oltre che, ovviamente, sulla sua carriera di artista ci pensa Gianfranco Angelucci, regista e sceneggiatore, amico e collaboratore per lunghi anni di Federico Fellini e quindi intimo frequentatore della coppia, nel suo libro Giulietta Masina (Edizioni Sabinae).
Cominciamo dalla dedica del libro: All’altra metà del cielo.
Immagine di una donna custode della vita, dea accogliente e salvifica di tutte le religioni, la grande madre, l’archetipo, da Iside fino a Maria, addirittura madre di Dio, quella che Dante canta nel Paradiso: “Tu sé colei che l’umana natura nobilitasti sì, che che ‘l suo fattore non disdegnò di farsi sua fattura” (Divina Commedia- Paradiso – Canto XXIII).
Prototipo di quello che Federico considerava casa, punto fermo, empatia, sicurezza. La sua metà, quella che sapeva mettere in luce la sua parte scintillante ma anche leniva la malinconia e la tristezza, l’inquietudine e l’irrequietezza.
Il libro si legge in un soffio, è appassionante, intimo, emozionante, ci guida per mano verso la conoscenza di una donna, famosa, personaggio pubblico, ma che qui viene tratteggiata con tutte le sue contraddizioni, le passioni, le cadute e le gioie. Potrebbe essere un romanzo se non fosse la vita di Giulietta Masina.
I successi pubblici sono noti a tutti, i capolavori, i film con il marito, le sue straordinarie interpretazioni, ovunque era presente, anche nelle pellicole dove non aveva una parte, era sempre lì, come perno e centro di tutto. Un sodalizio di vita racchiuso tutto nel discorso di Federico che nel 1993, già gravemente malato, l’Oscar alla carriera tra le mani, dedica un tributo alla moglie: “Lasciate che faccia un solo nome, quello di un’attrice che è anche mia moglie. Grazie carissima Giulietta and please stop crying!”.
Ma il pregio di questo libro è l’aver indagato nella donna “Giulietta” prima che nell’attrice e nella moglie di Fellini.E poi certo ogni professionista porta in scena la sua storia che traspare in uno sguardo, in una battuta malinconica, in un copione scelto o scartato. È così che si compone il puzzle di una vita con i successi e le interpretazioni e i film ne sono spesso solo lo specchio.
Giulietta nasce a San Giorgio di Piano in provincia di Bologna, ma già piccolissima viene mandata a Roma da una zia, vedova e senza figli, che le garantirà agi borghesi e una buona istruzione.
“La strada” (1954), primo film premiato con l’Oscar, porta in scena lo spaesamento di chi va incontro all’ignoto, lo sgomento del lasciare il mondo conosciuto e gli affetti. Giulietta lo conosce bene, l’ha già vissuto, forse per questo sa dare tanta profondità a Gelsomina e ci tiene a rappresentare sempre per Federico la casa, l’angelo del focolare nel senso più profondo del termine, cucinando, occupandosi degli affari di famiglia e rappresentando il baricentro della coppia.
Ma Giulietta è anche inquietudine, ricerca e curiosità, insofferenza e pazienza, è complessa e sfaccettata, tutte doti che le permetteranno di passare la vita intera accanto a Fellini, l’uomo che non poteva fare a meno di amare profondamente, al di là dei reciproci tradimenti.
Un amore ineluttabile, che non hanno scelto e imprescindibile, che è un dato di fatto attorno a cui si costruisce una vita intera.
E questo libro ben disegna la complessità e l’indissolubile legame tra la donna e l’attrice, rendendo appassionante e a tratti commovente la lettura.
Ad esempio Giulietta si era totalmente calata nel ruolo di Cabiria, tanto da sceglierlo come il personaggio che più la connotava, un ruolo così distante dalla sua ritrosia e semplicità e tuttavia così reale, e da raccontare che le capitava spesso di essere fermata per strada da quelle prostitute che aveva rappresentato nelle “Notti di Cabiria” (1957), secondo Oscar, che la consideravano una di loro.
Per lei questo tributo era il riconoscimento più alto.
Fino ad arrivare al malinconico addio di “Ginger e Fred” (1986), con Marcello Mastroianni, un finale struggente, una parte cheGiulietta ha fortemente voluto, salvo rimproverare il marito per non avergliela affidata vent’anni prima quando sarebbe stata più agile e avrebbe potuto divertirsi di più.
In mezzo, tra La Strada e Ginger e Fred, tanti altri film, tante vicende, passioni, dolori e gioie, una vita intera.
Giulietta era, come in fondo tutti gli esseri umani, un misto di allegria e malinconia, di pazienza ed irrequietezza, di ironia e serietà, di leggerezza e affidabilità.
Ed eccoci quindi di nuovo su quel palcoscenico del Dorothy Chandler Pavilion a Los Angeles, nel 1993, Giulietta e Federico, entrambi molto malati, sanno che la storia volge al termine e certo anche per loro, come per tutti, gli anni insieme, i film, le crisi e gli amori saranno passati in un soffio.
Il loro ineluttabile legame è sotto gli occhi del mondo e Giulietta piange, cercando però di sorridere.
Ci piace pensare che entrambi fossero grati per quel loro sodalizio, per quell’aver passato la vita insieme nonostante tutto, per essere riusciti, l’uno attraverso l’altro, ad esprimere il meglio di loro stessi.