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Giovanna d’Arco in scena: tra fuoco, simboli e tormento interiore

Federica Rossellini dà corpo e voce a una Pulzella smitizzata, in uno spettacolo che alterna intensità espressiva a scelte simboliche ridondanti

Lo scorso 2 maggio ha debuttato al Teatro Astra di Torino Giovanna d’Arco, uno spettacolo che vede in scena Federica Rossellini diretta da Paolo Costantini. L’attrice, sola sul palco, dà vita al lungo monologo, che ha avuto la consulenza drammaturgica di Federico Bellini, attraverso il quale si tenta di restituire un ritratto della giovanissima eroina francese. Un ritratto che vuole essere scevro di tutte quelle mitizzazioni che nel corso dei secoli si sono depositate su di essa: protagonista belligerante negli ultimi anni della logorante guerra dei Cent’anni, giovane donna infiammata dalla fede e infine martire silenziosa e  accondiscendente di fronte alle accuse di eresia mosse da quella stessa Chiesa in cui aveva riposto ogni suo alito di fede cristiana.

 La scenografia, consistente in una grossa pira stilizzata dalla struttura troncoconica – composta da una dozzina di assi e tronchi di legno grezzo – è sospesa a mezz’aria mediante due grosse catene.  Campeggia dunque totemica sullo spazio deputato all’azione, libero di quinte e fondali.  L’illuminazione di colorazione rosso aranciato è debole ma bastevolmente necessaria per far percepire l’intero spazio come asfissiante. 

Rossellini quando il pubblico prende posto è già immersa nella scena, indossa abiti casual: una t-shirt nera, ampi pantaloni da lavoro del medesimo colore e robuste scarpe antinfortunistiche, anch’esse nere. È rannicchiata sul proscenio, a destra: gambe piegate verso il petto, schiena sollevata. Pian piano muove le braccia, le mani, tasta il suolo fino a sollevarsi da terra per cominciare a colpirsi il petto sferrandosi pugni sempre più violenti: sembra che la protagonista tenti invano di rimettere, sembra che voglia espellere dal suo corpo qualcosa che le fa orrore, che non le permette un respiro rilassato. In un primo momento il gesto appare indecifrabile, ma col progredire della scena – che muta lentamente, accompagnata da luci che sembrano pulsare, si chiarisce l’intento di tale gesto: i continui colpi sferrati con impeto e i conati interrotti che si ripetono incessanti evocano la sensazione di asfissia, nausea e sofferenza che Giovanna avrebbe provato sul rogo in quel 30 maggio 1431. 

L’interprete ripete il gesto in maniera sempre più plateale e drammatica. È come se si tentasse attraverso quell’atto scenico, di rendere visibili le fitte fiamme che circondarono la martire diciannovenne, togliendole progressivamente il respiro, fino a strapparle la vita come un rantolo atto a spegnersi tra le braci. Un impianto simbolico, quello scenografico e gestuale, piuttosto scontato, ma che concorda con le aspettative più convenzionali che magari ci si potrebbe fare pensando di getto ad una scena per uno spettacolo sull’eroina del Quattrocento: è immediata l’associazione che ciascuno di noi fa, se si evoca il nome di Giovanna d’Arco, tra quest’ultima e una pira di legna da ardere. Tuttavia, l’intento dello spettacolo non è tanto quello di ritrarre direttamente la figura storica, tantomeno la vicenda del processo e della morte, quanto di esplorare le molteplici versioni che di lei sono state offerte dai differenti autori nel corso dei secoli, per poter riflettere sul carattere umano di d’Arco e non su quel profilo a lungo mitizzato dalla letteratura, dal teatro e dal cinema. 

Col procedere del monologo che a tratti si tinge di toni forsennati, l’interprete entra nel ventre della pira dove si denuda della maglietta per indossare una corazza di pvc lucido. Una volta fuori afferra le catene che movimentano il paranco a cui è agganciata la catasta troncoconica e la cala giù: i tronchi e le assi di legno, toccato il palco, si sganciano e cadendo generano tonfi sordi in un crescendo sonoro consequenziale. Giovanna distrugge simbolicamente la pira destinata ad ucciderla. Sfilatasi la corazza e impugnata una scure, l’attrice inizia a colpire ripetutamente, con movimenti nervosi e imprecisi, i tronchi, mentre le parole emergono graffiate tra i colpi in un ritmo fatidico, carico di tensioni. La scenografia, dalla forte carica totemica, è l’immagine rivelatrice (non poi così tanto) di una morte annunciata, accentuata da luci pulsanti che alternano toni accesi di rosso a sfumature d’arancio. La pira è simbolo del destino ineluttabile di Giovanna e lei si scaglia contro di questa, contro ogni singolo pezzo di legno che la compone, con rabbia. Impreca contro Dio e mostra a piene mani la paura che ha della morte che sente imminente. Si è tentato di mostrare una Giovanna d’Arco non ieraticamente rassegnata al suo destino, ma combattiva e paurosa. Ogni colpo d’ascia è come se fosse una richiesta disperata di risposte, ma trova solo l’eco dell’accusa da parte dei tribunali ecclesiastici: la stessa istituzione che avrebbe dovuto accogliere la sua fede e il suo fervore.

La Pulzella d’Orléans riceve come unica risposta il fuoco che la divora. Se l’intento della messinscena è quello di liberare la figura di Giovanna da ogni mistificazione, restituendole un volto autentico, lo spettacolo non riesce pienamente a centrare l’obiettivo. Da un lato la scenografia, totalizzante e concettualmente invadente, dall’altro una recitazione carica di emozioni sovrapposte, finiscono per affollare la scena di segni di differente natura e fattura che rischiano di disperdere il focus narrativo. A chiudere la pièce, due colpi di fucile modello Winchester esplosi dalla stessa protagonista contro le tavole di legno destinate a sostenere il suo corpo in posizione sul rogo.

Un’ulteriore aggiunta a una scena già densa di elementi simbolici, che risulta però straniante e fuori contesto: Giovanna d’Arco sembra trasformarsi da eroina medievale, quale a lungo tempo è stata, in dama western che spara contro le latte del tirassegno. Era dunque drammaturgicamente necessario un ulteriore elemento come il fucile per fare emergere che Giovanna si rende artefice della sua fine, del suo destino? Giovanna d’Arco è uno spettacolo ricco di spunti, suggestioni e molteplici materiali – testuali, visivi, performativi – che appare più come un punto di partenza per una futura riflessione drammaturgica che non come un compimento e coerente.

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Giovanna d’Arco – Ideazione e regia Paolo Costantini – con Federica Rosellini – consulenza drammaturgica Federico Bellini -scenografia e costumi Alessandra Solimene – luciMarco Guarrera – suono Dario Felli – assistente scenografa Asja Lanzetti – produzione TPE – Teatro Piemonte Europa Dal 5 maggio all’11 maggio al TPE Teatro Astra di Torino.

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