Una storia da ricostruire, un artista da scoprire per un ricercatore è davvero un dono. Quando poi si tratta di un pittore di rilievo, collocato storicamente in un’epoca non così lontana, che improvvisamente scompare avvolto nel mistero, lo studioso non può sottrarsi. E così è stato per Edoardo Sassi, giornalista del Corriere della Sera e curatore assieme a Giulia Tulino, dell’esposizione GINO GALLI (1893-1944) LA RISCOPERTA DI UN PITTORE TRA FUTURISMO E RITORNO ALL’ORDINE al MLAC – il Museo Laboratorio di Arte Contemporanea presso il Palazzo del Rettorato dell’Università La Sapienza di Roma, fino al 6 maggio.
Una ricerca a cui lavora dai tempi dell’Università, “un’appendice della sua tesi di laurea” come lui stesso la definisce, che gli ha permesso di riscoprire un grande personaggio, ricostruendo un pezzo di storia dell’arte.
Gino Galli, pittore dalla vita tormentata, con fasi oscure. Artista futurista, allievo prediletto di Giacomo Balla, tanto da essere il destinatario della lettera in cui Balla parla delle “compenetrazioni iridescenti”, studi sulla propagazione della luce che furono alla base di un’evoluzione stilistica, e cifra della pittura futurista. Balla condivide con l’allievo una delle sue grandi svolte. Forte il legame tra i due tanto che gli affida l’istruzione della sua primogenita, Luce. E Galli diventa l’uomo di casa nelle sue assenze.
Aveva iniziato a dipingere a 17 anni, con una produzione molto apprezzata. Collabora con riviste artistiche. Conduce una vita avventurosa, legato a Bottai e impegnato politicamente, sintesi tra arte e politica all’inizio degli anni venti.
Poi improvvisamente non espone più, e scompare dalle cronache. Come mai un artista che esordisce giovanissimo in modo così folgorante, che espone opere subito apprezzate, condirettore della rivista “Roma Futurista”, sparisce continuando però a dipingere? E come mai per quasi un secolo, l’allievo prediletto di Giacomo Balla, uno dei grande maestri dell’arte italiana, resta semi sconosciuto?
Da qui parte il paziente lavoro di studio e ricerca che anche grazie a un pizzico di fortuna, porta a ricostruirne la biografia e alla scoperta di tantissimi quadri. Le sue opere note, non erano più di dieci (una cinquantina quelle in mostra, quasi tutte inedite). Si conosceva poco della sua vita. Sbagliata la data di morte: in realtà morì nel 1944 e non nel 1954 come fino a poco tempo fa si credeva.
Prima tappa della ricerca è Elica Balla, secondogenita di Giacomo, che indirizza gli instancabili studiosi dai discendenti, dove cominciano a spuntare alcuni quadri di mai visti, di cui ci sono i riscontri storici nelle riviste dell’epoca, anche quelle esposte alla mostra.
Si trova traccia di una sua partecipazione a una mostra del ’33: ci sono delle foto nell’archivio del Museo di Rovereto che testimoniano la sua presenza.
Maneggiando una materia molto difficile, con un lavoro rigoroso e storico senza voler occultare nulla, i curatori arrivano a delineare la figura di un personaggio controverso e difficile: era omosessuale, morfinomane, e dal carattere cupo. Comparso nella lista dei confidenti, come molto spesso in quell’epoca succedeva alle persone vulnerabili e facilmente ricattabili, fu un membro dell’OVRA, la polizia politica fascista.
Spiega Edoardo Sassi: “Forse era un “cattivo”…? Si studiano anche i “cattivi”… e comunque su questo lasciamo la parola agli storici. Certo abbiamo scoperto un protagonista dell’arte del ‘900 capace di creare quadri di grande bellezza.” Appassionato a una ricerca non ancora finita: perché questa è solo una prima tappa. “Molte sono le opere ancora nascoste e chissà quante altre di cui non si è a conoscenza.”
L’esposizione segue un percorso cronologico quasi a voler sottolineare lo sforzo di ricostruzione storica. Risulta subito evidente l’adesione al movimento Futurista e le influenze del suo mentore nelle prime opere. Per arrivare a una fase figurativa, con i paesaggi e le realistiche nature morte, (“il ritorno all’ordine” come nel titolo della mostra). Passando attraverso gli intensi ritratti tra cui spicca quello di Bice Pupeschi, donna a capo di una rete di spie, amante del capo della polizia segreta fascista Arturo Bocchini, che gestiva due bordelli. Dipinto che conferma i rapporti che aveva l’artista, e che fa ben comprendere il clima dell’epoca.
Fino ai due quadri di temi erotici di grandi dimensioni. Sono rari e straordinari sia per fattura che per tipologia perché difficilmente l’arte erotica è consegnata a quelle dimensioni. La figura femminile ha dei precedenti, la figura maschile è considerata un unicum.
Insomma una mostra che fonde il momento di studio e quello di fruizione in una rara simbiosi. Del resto “il fine di questo museo è di coniugare ricerca e informazione, di instaurare un rapporto tra università e mondo esterno”, come spiega Ilaria Schiaffini, direttrice del Museo Laboratorio di Arte Contemporanea. Obiettivo raggiunto alla perfezione.