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Gina Lollobrigida: la diva che non voleva essere popolare

L’intervista impossibile all’indimenticata Bersagliera

Gina Lollobrigida l’avevo intervistata tante volte. L’ultima fu sulla terrazza dell’Hotel Excelsior al Lido di Venezia, durante la Mostra del Cinema, in diretta su RaiStereoDue. Era l’occasione della sua mostra di foto e sculture. Le chiesi che significato avesse ancora per lei la popolarità.

Gina Lollobrigida ai microfoni di Rai Radiostereodue a Venezia

«La popolarità – disse con un sorriso rapinatore – ha un lato positivo: apre molte porte. Ma la verità è che non mi piace, perché trasforma la tua vita privata in poca cosa.»

Eppure, quella popolarità che l’aveva abbracciata fin da giovanissima – quando arrivò terza al concorso di Miss Italia dietro Lucia Bosé e Gianna Maria Canale – non l’ha mai più abbandonata. Una vita piena di film, viaggi, arte, fotografia. Una vita da protagonista.

All’anagrafe Luigia Lollobrigida, per tutti semplicemente la “Lollo”. Nata a Subiaco, in provincia di Roma, figlia di un facoltoso produttore di mobili e di una casalinga, attrice di fama mondiale, ma anche scultrice e fotografa, è stata uno dei sex symbol più iconici a livello internazionale, dagli anni Cinquanta fino ai Settanta.

Ha recitato in oltre sessanta film, molti in Francia e a Hollywood, ricevendo premi e riconoscimenti in tutto il mondo: un Golden Globe nel 1961 per Torna a settembre di Robert Mulligan, accanto a Rock Hudson, due Nastri d’Argento e ben sette David di Donatello. Di lei, il celebre fotografo Philippe Halsman disse: «Gina ha le forme più perfette tra tutte le attrici che ho conosciuto

Determinata e ambiziosa, aveva cominciato a studiare all’Istituto di Belle Arti. A tredici anni era già da fotografare, a diciassette posava nei fotoromanzi con lo pseudonimo di Diana Loris. A vent’anni, la sua bellezza travolgente conquistava Cinecittà. I produttori non ebbero dubbi: “È nata una stella”.

Fu Luigi Comencini, nel 1953, a consacrarla definitivamente con Pane amore e fantasia, dove interpretava la Bersagliera accanto a Vittorio De Sica: la popolana dal cuore d’oro, determinata e risoluta. Un ruolo che entrò nell’immaginario collettivo, insieme al sequel Pane amore e gelosia. Quando rifiutò il terzo capitolo, venne sostituita dalla sua storica rivale Sophia Loren.

Ma Gina era già proiettata verso nuovi ruoli e nuove sfide. La sua carriera decollò anche a livello internazionale: Campane a martello di Luigi Zampa (1949), Achtung! Banditi! di Carlo Lizzani (1951), Fanfan la Tulipe di Christian-Jaque, che la rese celebre anche in Francia, e Altri tempi di Blasetti, nell’episodio Il processo di Frine accanto a Vittorio De Sica, lo sceneggiatore Sandro Costanza coniò per lei il celebre termine “maggiorata”.

Seguirono, infatti, ruoli drammatici in film di grande rilievo, come La provinciale (1953) diretto da Mario Soldati, distribuito dalla Warner Bros in tutta Europa e negli Stati Uniti, e La romana di Luigi Zampa. Continuò con Mare matto di Mario Castellani e Un bellissimo novembre di Mauro Bolognini.

Dalla seconda metà degli anni Cinquanta, “la Lollo” — come la stampa internazionale l’aveva ormai ribattezzata — divenne una star amatissima anche a Hollywood, dove fu subito scritturata dal magnate della RKO, Howard HughesJohn Huston la volle accanto a Humphrey Bogart ne Il tesoro dell’Africa, mentre recitò con Errol Flynn ne Il maestro di Don Giovanni, diretto da Milton Krims.

Fu poi protagonista de La donna più bella del mondo di Robert Z. Leonard, a cui seguirono altri grandi successi come Trapezio di Carol Reed, al fianco di Burt Lancaster e Tony Curtis, e Il gobbo della cattedrale di Jean Delannoy, girato a Parigi, con Anthony Quinn fino a Sacro e profano con Frank SinatraSalomone e la regina di Saba, con Yul Brinner che sostituì Tyrone Power, morto durante le riprese.

Negli anni Sessanta, al culmine del successo, tornò in Europa con Venere imperiale e vinse il Golden Globe per Torna a settembre. Non solo cinema, ma anche leggende di gossip che la volevano amata – ricambiata o meno – da molti dei suoi partner: Sean Connery, Jean Paul BelmondoDavid NivenJean-Louis TrintignantYves Montand, fino a Marcello Mastroianni.

Come in un fermo immagine, mi piace immaginare di essere ancora lì con lei, sulla terrazza dell’Excelsior, davanti ai microfoni di RaiStereoDue. Come se il tempo non fosse passato. Gina con quel suo sguardo ironico, intelligente, sfuggente. Come la vera diva che è sempre stata. Anche quando diceva che la popolarità, in fondo, non le piaceva affatto.

Nel 1964, lei, cara Gina, disse che si sentiva un vulcano che emanava fuoco.

Sì, me la ricordo quell’intervista. Dissi anche che il successo è una cosa che viene e che va. E comunque non ho mai fatto un problema del fatto che certa critica mi considerasse un oggetto sessuale. Perché avrei dovuto offendermi? Non l’ho mai considerato un insulto. All’inizio anche io ho fatto la fame. Poi sono stata anche molto ricca. La vita cambia i destini, continuamente. Alla fine della giostra non sono più tanto ricca, ma conservo la mia testa!

Che cosa è stato per lei il cinema?

Il cinema è un’arte immediata: fai un film, e da sconosciuta il giorno dopo ti riconoscono tutti — nel bene e nel male. E pensare che da giovane non avevo nemmeno la passione per il cinema. Certo, oggi dico che l’arte della recitazione è una scuola necessaria, ma alla fine a vincere è l’istinto!

Quali sono state le sue occasioni perdute nel cinema?

All’ultimo momento rifiutai “La signora senza camelie” di Michelangelo Antonioni, prodotto da Dino De Laurentiis; “Jovanka e le altre”, diretto da Martin Ritt e poi interpretato da Silvana Mangano, moglie di De Laurentiis; e forse anche” Lady L”, che abbandonai per divergenze con il regista George Cukor. Tutti quei film sono stati grandi successi… per Lucia Bosè, la Mangano, e Sophia Loren.

È vero che Fellini le offrì un ruolo importante ne La dolce vita, quello poi interpretato da Yvonne Furneaux, e che il copione le fu nascosto dal suo ex marito?

No comment!

Quando girò in parte in Lucania La donna di paglia accanto a Sean Connery, si parlò di una breve liaison. Cosa c’è di vero?

Assolutamente nulla! I fotografi e certa stampa non aspettavano altro, ma Connery con me è stato sempre serio e corretto, una persona perbene. E comunque, Bond o non Bond, se fosse andato oltre, avrei saputo cosa fare.

E con Vittorio De Sica?

Vittorio si divertiva con me, giocava con le parole. E a me, immancabilmente, veniva da ridere.

Quante Lollobrigida ci sono state nella sua vita?

Come tutti, ho amato anche io gli eccessi, ma in fondo sono sempre stata semplice. E risoluta. C’è stata la diva, certo, ma soprattutto la donna. E credo di poter dire che quest’ultima ha sempre avuto la meglio. La mia regola, in un cinema fatto di tanti personaggi — dalla Bersagliera alla Provinciale, dalla Cavalieri alla Paolina Bonaparte, fino alla fatina dai capelli colorati del “Pinocchio” di Comencini è stata sempre la stessa: più che recitare, mi sono immedesimata. E per il superfluo, non c’è mai stato spazio.

Una carriera senza protettori, tanti riconoscimenti internazionali, persino una stella sulla Walk of Fame a Hollywood.

All’inizio pensavo fosse una specie di premio turistico californiano. Ma poi, passeggiando sul marciapiede dal Chinese Theatre fino al Musso & Frank Grill — il ristorante dei miti come Sinatra, Hope, Peck, Monroe, Gardner — ho capito cosa significassero davvero quei nomi incisi. Quelle stelle raccontano la storia del cinema, dello spettacolo mondiale. E adesso anche la mia. E lì, sì, ho provato una grande soddisfazione.

Oggi si parla molto di #MeToo. Cosa pensa di questo movimento?

La donna è un universo, e come i pianeti ha le sue evoluzioni. A vent’anni è fredda come il ghiaccio, malgrado le apparenze; a trenta è calda, a quaranta è bollente. Ma in ogni fase della sua vita deve poter difendere le proprie scelte, i propri diritti, e soprattutto la propria volontà. Ai miei tempi i pettegolezzi duravano pochi giorni, si spegnevano in fretta. Per fortuna oggi una donna può essere bella anche a settant’anni!

Quanto è stata importante per lei la fotografia?

Attraverso la fotografia e poi con la scultura, ho ricominciato a interessarmi agli altri, a osservare, a cercare di capire come va davvero il mondo, dopo l’euforia della popolarità.

Dopo essere stata immortalata dai più grandi fotografi del XX secolo da David Seymour a Robert Capa, da René Burri a Federico Patellani, ha scelto di stare dall’altra parte dell’obiettivo.

Ho viaggiato tanto, oltre cento paesi: India, Filippine, Russia, Cina, Giappone, Kenya, Stati Uniti… Ho fotografato volti, culture, storie. Nel 1973, il mio volume Italia mia ricevette il premio Nadar. In quegli anni ho incontrato personalità straordinarie: Kissinger, Perón, Maria Callas, Ella Fitzgerald, Grace Kelly, Paul Newman, David Niven, Audrey Hepburn… perfino Fidel Castro, Madre Teresa e Indira Gandhi.

Uno dei primi che fotografò fu proprio Fidel Castro.

Sì. Quando arrivai a L’Avana, fui ospitata in una villa coloniale lungo la Quinta Strada. Fidel mi mise a disposizione anche una segretaria. Mi aveva promesso che avrebbe risposto a tutto. E mantenne la parola. Alla fine dell’intervista mi regalò il suo orologio Seiko, togliendoselo dal polso. Qualche tempo dopo, disse che eravamo stati platonicamente innamorati. Io direi piuttosto che fu un incontro umano e sorprendente. Da quell’intervista trassi anche un documentario che fu presentato al Festival di Berlino.

Anni dopo quell’orologio fu venduto all’asta, con la dedica incisa: “A Gina con ammirazione”.

Sì. Era uno dei tanti ricordi di una vita sotto i riflettori. Le mie foto sono state esposte in tutto il mondo, da Parigi a Mosca. Ricevetti la medaglia d’oro della città di Parigi da Jacques Chirac, la Legion d’onore da Mitterrand, e l’onorificenza dell’Accademia delle Arti del Disegno a Firenze, come solo Margherita Hack e Rita Levi Montalcini prima di me.

È vero che durante un ricevimento a Mosca lei e Elizabeth Taylor si ritrovarono con lo stesso abito Dior?

Non erano identici. Il mio era più scollato, il suo più chiuso. Ma dello stesso colore, sì. Ci guardammo, scoppiammo a ridere e ci abbracciammo.

Una volta disse a Beppe Severgnini per il Corriere della Sera che i camionisti l’adoravano, ma spesso non la riconoscevano dal vivo.

È vero! Mi è capitato in un’area di servizio: vidi un camion con la mia foto appesa dentro, ma il conducente non capì chi fossi. Allora, per provocarlo, mi misi a pulirgli i vetri. Quando se ne accorse, per farsi perdonare mi offrì un passaggio sul camion!

Ha lavorato con i più grandi: Sinatra, Hudson, Niven, Brynner… Ma De Sica è rimasto il suo punto di riferimento?

A Vittorio devo tutto. Mi chiedeva di piangere… ma col fischio. E io piangevo col fischio. Mi diceva: “Sali sull’asino… ma volando.” E io lo facevo. Ruoli come quello della Bersagliera in Pane amore e fantasia non li ha più dati a nessuna, nemmeno a me. Quel film vivace, gentile, semplice, pieno di poesia ha fatto di me un pegaso. E con le ali della fantasia sono volata nella storia del cinema.

Quando si iscrisse a Miss Italia, ricorda cosa scrisse nella scheda dove le chiedevano la sua aspirazione?

Lo ricordo benissimo. Scrissi: «Fare qualcosa di serio con le mie capacità».

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Gina Lollobrigida e Vittorio De Sica a Venezia

Un venticello le accarezzò il viso, mentre il sole calava dolcemente dietro le tende bianche della terrazza dell’Excelsior. «Le va un gelato?» le chiesi, scendendo insieme i gradini che portano al mare. Lei sorrise, con quell’aria tra il sognante e l’indomabile, sembrava l’ultima scena di un capolavoro: la diva che torna donna, senza mai smettere di volare.

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