di Donatella Busini
Il male dei Ricci. Ragazzi di vita e altre visioni, spettacolo nato da un’idea di Fabrizio Gifuni e proposto al Teatro Argentina il 10 Settembre, ha trascinato il numeroso e attento pubblico per l’interpretazione magistrale dell’attore cui ha reso omaggio con più di 5 minuti di applausi finali.
Nonostante la voluta frammentarietà della narrazione, il testo è risultato fluido e pungente, riportando in vita, come ammesso dallo stesso Gifuni, lo ‘spettro ‘ di Pasolini, inteso come corpo insepolto in cui si inciampa per necessità, spessore e diversità ancora oggi in quanto non pacificato con il mondo della cultura, della politica e della società.
Supportato da una regia minimale ed essenziale, la rappresentazione è stata un tributo alla parola, alle mille voci che con sapienza e mestiere Gifuni ha messo in scena senza alcuna scenografia o musica a supporto. Una sedia e un leggio.
Attraverso solo semplici cambi luce, Gifuni è riuscito a raccordare le storie dei’ Ragazzi di vita e altre visioni’ad altri materiali pasoliniani con una vitalità che ha reso il testo dinamico nella sua interezza, arricchendone i piani di lettura e moltiplicandoli dando vita in scena a un agone tragico che ne ha caratterizzato il finale.
Gigantesco nell’uso della voce, degli accenti, dei movimenti scenici mai eccessivi ma misurati ed eleganti Gifuni ha divertito, nonostante i temi affrontati, dando prova di una passione nei confronti di Pasolini così tangibile da rendere quasi fisicamente presente lo ‘spettro’ dell’intellettuale, poeta, regista e da trascinare catarticamente l’intero pubblico nelle storie dei suoi Ragazzi di vita.
Un coinvolgimento tale da colpire anche i sensi degli spettatori. Una sensazione che ha coinvolto molti dei presenti è stata quella di essere immersi nel ‘caldo torrido’ evocato dai protagonisti dei Racconti. Un caldo fastidioso, opprimente che induce all’indolenza talvolta, all’aggressività, all’apatia o all’incapacità di azione.
Una percezione intensa evocata dalla parola, dal testo ma soprattutto dalla capacità di Gifuni di provocarla solo attraverso le sue tante voci messe a servizio dello spettacolo.
Una sensazione palpabile che solo il teatro nella sua concezione ancestrale riesce a sollecitare.
E di questo tipo di concezione che l’intero spettacolo è intriso che lo ha reso così apprezzato dal pubblico.
A ciò si aggiunge l’estrema attualità storica e politica della rappresentazione matura, continuazione del lavoro ‘Na specie de cadavere lunghissimo, spettacolo culto, ideato e interpretato dallo stesso Gifuni, con la regia di Giuseppe Bertolucci quasi vent’anni fa.
Per queste ragioni ritengo che la pièce meriti una diffusione che superi la ricorrenza per cui è stato pensato.
Mi auguro caldamente che in molti possano godere di questa rappresentazione e della straordinaria capacità interpretativa di Gifuni che ha affollato il palco quasi vuoto con lo sciame umano pasoliniano fatto di personaggi tragici, grotteschi, talvolta comici o violenti attraverso la sua sola presenza. Un mattatore impegnato ed entusiasmante.