L’intervista all’artista milanese, protagonista della mostra “Dolci Assenze”
L’artista Giada Rotundo realizza quadri dallo stile astrattista, con tendenze e richiami da lei stessa attribuiti al figurativo. L’arte figurativa consiste nella ripresa di soggetti umani e oggetti presenti nella realtà, estrapolati dal loro contesto usuale e resi stimolo per la creazione di immaginazioni visionarie riportate su tela, più o meno lontane dal desueto. Le raffigurazioni standardizzate non rientrano nel repertorio di Giada, la quale per suo talentuoso diletto trascende dall’abitudine visiva data dalla classicità di disegni ritrattistici, trasformandoli in lavori dalle plurime accezioni, caratterizzati da elementi a cui reca personalità donandogli un serio significato ultimo, tendenzialmente celato. Ne è una dimostrazione l’opera Green on green (30×45 cm), in rilievo una distesa di bianco si insinua fra quelle che potrebbero essere nuvole nere sospese nell’etere, cercando una sorta di contatto fra il discorrere dinamico del vento e la placida dispersione del naufragare delle idee.
Le opere dell’artista sono caratterizzate da un’interessante combinazione espressiva di forme e colori, che infondono persuasione in chi ha la possibilità di vederle da vicino. Le domande scaturitesi dagli osservatori di tale creatività riguardano il rapporto con l’immensità che varca il confine fra cielo e terra. Grazie alla tecnica distintiva e alla creatività di Giada, davanti ai suoi dipinti a olio si delinea un’essenza paragonabile a un universo parallelo in cui l’essere si scopre far parte di un mondo ben più carico di simboli ermetici di quanti se ne vedano sulle superfici delle tele, i quali sembrano provenire da un cosmo lontano mille miglia da noi, radunandosi attorno a immagini comunicative.
Con uno stile unico nel suo genere e una profonda sensibilità artistica, Giada Rotundo ispira gli amanti dell’arte con un’originalità perennemente in via di sviluppo. Recentemente, dal 15 marzo al 10 maggio 2024 è stata la protagonista di una mostra intitolata Dolci Assenze alla Galleria D’Arte Triphè curata da Maria Laura Perilli. Assenze che non si riferiscono propriamente a delle mancanze dal valore negativo, ma agli stati d’animo che l’essere umano va a ricercare per colmare l’abitudinarietà emotiva, a cui si può trovare un nome e un volto attraverso l’arte di Giada. Un’arte che riesce a scomporre i tratti riinserendoli in un contesto sagace e sovversivo nel ricomporre la realtà a proprio piacimento.
Ascoltiamo le parole Giada entrando nel vivo del trascorso artistico che la riguarda, la mostra Del e delle opere.
Qual è il percorso che ti ha portata a fare dell’arte qualcosa di più di una passione?
Io sono originaria della Provincia di Varese, durante il mio percorso di studi ho scelto l’Accademia statale di Belle Arti di Brera, a Milano. Dopo aver frequentato tutti e cinque gli anni, compresi di magistrale, mi sono laureata nel 2017 in Arti Visive e Pittura. La scultura non l’ho mai affrontata perché fisicamente è più difficile, ci vuole un po’ di forza fisica che attualmente purtroppo non avrei. Da lì, ho iniziato facendo prima dei quadri figurativi, presenti nelle scorse mostre, ma ora lo sono meno. Stanno sparendo pian piano perché per fare quella tipologia di quadri, ho sviluppato a lungo andare dei dolori muscolari, dovuti al fatto che per realizzarli bisogna stare nella postura classica del pittore con la mano alzata a parete, non si può lavorare a tavolino, per cui ho dovuto abbandonare tale tecnica. Ora faccio quadri più astratti che tendono al figurativo ma con un’iconografia molto più semplice e utilizzo spesso la foglia a oro. Questo è stato il mio percorso, un percorso obbligato per via dei dolori.
Quali sono le opere scelte per l’esposizione della tua mostra personale “Dolci Assenze” alla Galleria Triphè, e che storia si portano dietro?
Sulle estese pareti bianche della galleria si osserva, sulla destra, la serie in bianco con brillanti luminescenze dorate di “Nastro D’oro”, “Filicanto” e “Dim Light”, opere appartenenti a delle illustrazioni vicine alla materia astronomica, esteticamente forbite di sembianze lunari, stellari e solari. Maggiormente visibile a sinistra nella tela “Money Money” (olio su tela, 70×100 cm), si vede rappresentata una giovane ragazza che guarda l’osservatore interdetta mentre una pioggia di monete le cade attorno. Le monete risultano più particolareggiate di qualsiasi altro elemento presente nel quadro; infatti, appaiono scintillanti, artisticamente le ho rese fin nei minimi dettagli. A seguire, “Bubbles” (olio su tela, 50×50 cm), è un lavoro in cui un volto femminile viene trasfigurato, parte del viso scompare per lasciare spazio soltanto a due orbite vuote, volte a personificare un momento di rottura. Ed è un esempio eloquente di come il quadro unisca alla perfezione l’astrazione alla figurazione. Infine, dai colori più freddi, che vanno dal lilla al viola tenue, per toccare delicatamente il rosa antico, è “Catherine’s wheel” (olio su tela, 60×60 cm), un’opera in cui una ragazza è tangibilmente stravolta da due girandole poste al posto degli occhi. Il dipinto vuole fare dell’ironia sulla confusione che molto spesso si prova in età giovanile.
I tuoi dipinti sono colmi di riferimenti che tendono l’occhio al passato, hai delle ispirazioni artistiche?
Per i lavori astratti mi ispiro al primo Quattrocento e al Gotico Internazionale, rifacendomi all’iconografia Classica. Nello specifico tendo l’occhio al nobile cavaliere San Giorgio e il drago, che fin da sempre è stato ripreso da moltissimi artisti, quali Donatello o Cosmè Tura, rivelandosi un’icona a dir poco inflazionata. A livello di tematiche attualmente sto rielaborando proprio il primo Quattrocento; ispirandomi al Pittore italiano Gentile da Fabriano, con l’oro e i funghi dorati. Mentre, le opere in stile figurativo che realizzavo più frequentemente tempo addietro, si ispiravano a qualcosa di ben più realistico e vicino a noi: il mondo del circo, come si può vedere nell’opera “La danza con le girandole”.
Come descriveresti le sensazioni che provi mentre stai dipingendo e quelle percepite quando ti trovi alla fine di un lavoro, ci sono differenze a livello emotivo?
Personalmente il momento più sereno e felice è quello che vivo ancor prima di iniziare a lavorare, perché significa che ho l’ispirazione e sono contenta, sapendo di avere in mente già l’idea e quindi una strada delineata da percorrere. Mentre nell’attimo precedente, in cui osservo la tela bianca, so che dovrò sforzarmi per trovare un’idea, sapendo di sentirmi serena solo quando l’avrò trovata. Poi iniziando a dipingere, sì sono comunque contenta, ma talvolta la gioia si potrebbe affievolire perché magari la durata del lavoro si prolunga inaspettatamente. Se ti accorgi che il lavoro sta iniziando a diventare di due settimane o più ecco che inizi a subire la stanchezza. Inoltre, una volta terminato e sei davanti al risultato finale devi vedere se questo rispecchia i tratti con cui l’avevi ideato in principio, se li rispecchia allora rimani appagata, ma se invece non viene bene come desideravi lo sei meno e quasi ti verrebbe voglia di buttare tutto all’aria, ironicamente parlando. Credo che tutti noi artisti nella nostra testa vediamo l’immagine di partenza sempre bella e convincente ma poi alla realizzazione completa dovremmo imparare a fare i conti con gli ipotetici difetti e le imperfezioni. Spesso mi capita di provare delusione, anche se all’inizio parto molto convinta, ma ovviamente finisco per sentirmi anche e per fortuna soddisfatta. Mi è successo di rifare dei quadri per volerli migliorare, però l’idea ce l’ho ancor prima di prendere in mano i pennelli. Non incomincio mai un quadro senza avere chiaro il disegno da realizzare o cambiando idea dopo aver iniziato a lavorare su una determinata rappresentazione.
Stai realizzando progetti di prossimo compimento?
Tutti i quadri futuri saranno vicini all’astrattismo mantenendo un’iconografia semplificata. In questo preciso momento sto affrontando una nuova sfida nel dedicarmi al grande formato, facendo una tela che come proporzioni è di 2×1 m, perché voglio mettermi alla prova iniziando ad affrontare le dimensioni ampie, mai affrontate prima d’ora. Nel telo sto rappresentando una fanciulla completamente nuda che abbraccia un drago tutto dorato, sempre con l’uso della foglia a oro. E a dirla tutta premetto di star cambiando la trama del racconto di matrice popolare da cui ho preso spunto per il disegno, che vede protagonista il Drago di cui ti parlavo, ammetto che amo spesso rappresentarlo. Nella storia originale San Giorgio uccide il drago per salvare la principessa e scappare con lei, invece nella mia testa ho ribaltato le fila della leggenda, immaginando che la principessa voglia scappare con il drago familiarizzando con esso, è decisamente una mia libera interpretazione, spero innovativa.