Il pubblico delle grandi occasioni sentenzierebbe il bravo radiocronista di “Tutto il calcio minuto per minuto” e cosi è stato alla cavea dell’Auditorium Parco della Musica per questo ritorno ieri sera di Steve Hackett a Roma. A distanza di tre anni dal suo ultimo concerto, l’ex chitarrista dei Genesis a dispetto dei suoi 72 anni regna sovrano nel panorama del prog nell’anno domini 2022. Una rivisitazione di uno dei live più belli del rock come scrisse all’epoca la rivista Rolling Stones e a buona ragione lo è tutt’ora, nonostante siano passati ben 45 anni da quella incisione parigina.
Mi sono trovato a rivivere una notte di maestria “Prog” come non mi capitava dal quel lontano 1977, reduce inconsapevole di un concerto dei Genesis a Earls Court a Londra, già orfano del genio incompreso di Peter Gabriel e con Hackett ai titoli di coda con la band.
Confesso che sono sempre stato un imperterrito fan dei Genesis, rimanendo tale anche quando rimasero in tre e decisero di virare sul pop, dando l’idea di aver smarrito la via maestra. Ma così non fu, anche se i genesiani duri e puri mal digerirono quella “conversione” sfrontata. Ma tant’è il dato fu tratto e da li i Genesis divennero un brand planetario, amato in tutto in mondo con la rispettabile cifra di 150 milioni di copie vendute, con buona pace dei denigratori.
Avevo ascoltato i primi album grazie a un mio amico di scuola delle medie, Andrea anche lui, che un giorno mi prestò una vecchia cassetta incisa con Nursery Crime. Gliene sarò sempre riconoscente anche se ora lui non c’è più e magari sarà in compagnia di qualche angelo ad ascoltare Peter e soci tra le nuvole. Fu una folgorazione che naturalmente segnò in modo indelebile il mio personale percorso musicale e a distanza di oltre 40 anni eccomi qui di nuovo ad emozionarmi come un ragazzino all’ascolto di Cinema Show e Supper’s Ready.
Puntualità british e alle 21 precise la band è già sul palco. Si parte con Clocks – The Angels of Mons del 1979, brano che richiama vagamente a sonorità stile Yes con la sua introduzione tic tac da farla sembrare una colonna sonora, buona per stuzzicare gli appetiti dei meno giovani, Steve è al centro della scena(appunto per il direttore delle luce: perché sempre cosi in ombra il nostro?), già padrone della sua Fernandes con la melodia che scorre senza sforzo tra le sue dita. L’inizio promette bene!
Dopo la presentazione della band si passa a Shadow of Hierophant dal capolavoro del 1975 Voyage of the Acolyte, con la straordinaria Amanda Lehmann a dare manforte con la sua bella vocalità e rendendo ancora più intenso l’ascolto di questo brano. Il suono è fluido con ogni nota sospesa nell’aria mentre Hackett tesse il suo incantesimo sulla folla già ipnotizzata, pronta a scattare in piedi per applaudire brano dopo brano.
È il momento di Seconds Out, la vera attrazione della serata. Come da scaletta riportata sul disco ecco Squonk, leggendaria creatura deforme che abita nella foresta con la pelle ricoperta di verruche, che si nasconde a causa del suo orribile aspetto, trascorrendo gran parte del suo tempo a disperarsi. La leggenda dice che potrebbe dissolversi in una pozza di lacrime per evitare di trasmettere la miseria della sua condizione. Una storia di dolore e tristezza.
Segue The Carpet Crawlers, testo metaforico che suona come una pesante critica verso coloro che si conformano al pensiero unico dominante. E poi la narrativa descrittiva in Robbery, Assault and Battery. Come in tutto la discografia dei primi Genesis, sembra che i testi siano stati scritti più come un racconto poetico con la musica intrecciata attorno alla narrazione. Divertente il siparietto con il tecnico di palco che per quasi metà del brano è alle prese con un jack della pedaliera di Steve difettoso e che non vuole saperne di funzionare.
Afterglow vede un suono di fondo quasi orchestrale mentre King alle tastiere, Reingold alla basso e Townsend al flauto, offrono un sublime back drop per Hackett per tessere una trama musicale sottile, mentre la voce di Sylvan, sublimemente, offre al pubblico un’altra splendida lirica.
Firth of Fifth continua con King protagonista e il delicato uso da parte di Hackett del vibrato, prelude a un delizioso passaggio di sassofono di Rob Townsend che non rinuncia a istigare la folla battendo le mani.
Steve per un attimo si tira indietro, applaudendo e sorridendo all’esecuzione mentre il brano si sviluppa lentamente per poi unirsi successivamente con un assolo fluido e “martellato” completo di battitura dei tasti con la mano destra. La sua maestria strega il pubblico appeso a ogni nota che riesce a produrre dalla sua chitarra, mostrandoci quanto sia dannatamente bravo.
A seguire la band ci consegna una sontuosa versione di I Know What I Like (In Your Wardrobe), canzone resa ancora migliore dall’inclusione di sontuosi assoli di sax e flauto di Rob Townsend e un non meno favoloso riff di chitarra di Hackett, mentre il pubblico ormai in trance canta a squarciagola il ritornello. Lo spettacolo di luci è semplicemente sbalorditivo, impreziosito dalla jam improvvisata prima tra Blundell e Townsend e a seguire quella tra lo stesso Towsend e Hackett.
E poi ancora classici come The Lamb Lies Down on Broadway e la sezione conclusiva di The Musical Box, prima di immergersi in Supper’s Ready con l’acustica che risuona maestosa, e tutti noi presenti che vaghiamo lentamente attraverso questa canzone di proporzioni epiche. L’opera di Peter Gabriel lunga 24 minuti, con riferimenti al libro della Bibbia, dell’Apocalisse e al mito greco di Narciso. Dalle scene di guerra alle battute assurde che alludono ai precedenti album dei Genesis, è una canzone accattivante che i Genesis Revisited hanno riproposto in tutto il suo splendore. Sylvan ha persino aumentato l’intensità, uscendo brevemente dal palco, per poi riapparire con un’andatura lenta e seria e un aspetto severo per consegnare drammaticamente la linea in cui arriva Satana. Superbamente orchestrata la canzone si scatena attraverso diversi passaggi distintivi e l’emozione all’interno della Cavea dell’Auditorium si fa fatica a trattenere quando riecheggia la fatidica Apocalisse in 9/8 .
The Cinema Show arriva seguito da Aisle of Plenty(che in Seconds Out non è presente,) per concludere la serata. Una miriade di stelle lampeggiano da dietro, il fumo riflette la luce mentre cade a cascata sul set. Sylvan canta delicatamente l’inizio di questa grande canzone, mentre Townsend, offre un altro passaggio di flauto. Le dita di Hackett ancora una volta scorrono sul manico della sua Fernandes mentre intreccia abilmente una melodia insieme a Townsend al sax contralto. Reingold preso possesso di un doppio manico, prima batte una linea di basso per proseguire sulla chitarra a 12 corde, ma le tastiere di Roger King sono davvero impeccabili.
Per il bis, come da copione immancabili Dance on the Volcano e la stumentale Los Endos” con assolo di Blundell, sicuramente la vera rivelazione di questa formazione.
In conclusione le canzoni di Seconds Out sono state suonate fedelmente con alcuni momenti scelti di reinterpretazione, spesso caratterizzati dalla sezione dei fiati di Townsend che ha dato un bel contrappeso arioso, in particolare su I Know What I Like (In Your Wardrobe), iniziando con il flauto per passare successivamente al sassofono.
Non amo particolarmente Nad Sylvan, ma lavorare sulle sfumature della voce di Peter Gabriel e su quelle di Phil Collins è un’impresa titanica ma lui ci è riuscito perfettamente dimostrandosi all’altezza. Ha vagato dentro e fuori dal palco per tutta la sera, uscendo dal palco a sinistra quando la voce non era richiesta.
Roger King ha gestito le tastiere con facilità e ha reso facili anche le parti più impegnative scritte da Tony Banks. La sua introduzione di Firth of Fifth al pianoforte è stata straordinariamente bella.
Rob Townsend, è stato il collante che ha tenuto insieme tutto. Il suo sassofono e flauto suonati per tutta la serata sono stati esemplari. Ha fornito la giusta quantità di magia e ha completato ciò che Hackett e il resto della band stavano facendo.
L’altra metà della sezione ritmica è stato l’eccezionale Craig Blundell. Molti musicisti famosi hanno un detto sui batteristi, indipendentemente dal nome: il vero leader di una band è il suo batterista. Non è mai stato così vero come ieri sera alla Cavea. La batteria di Blundell è stata perfetta. L’assolo durante l’encore (che includeva anche Dance On A Volcano e Los Endos) è stata una straordinaria dimostrazione della sua abilità tecnica.
Questo concerto è stato un viaggio nella memoria. Mentre mi ritrovo a scrivere la mia recensione, è veramente difficile mettere insieme le parole. La musica ha un modo magico di legarsi ai ricordi, buoni o cattivi che siano, ma ieri sera è stato grandioso. Grazie Mister Hackett!