Intervista a un’icona assoluta del jazz per longevità e stile in occasione della V° edizione del Festival Jazz Monte Mario “Massimo Urbani”
Il titolo potrebbe rasentare la blasfemia ma parlare di Eugenio Commonara per tutti Gegè Munari, classe 1934 da Fratta Maggiore all’alba dei suoi 90 anni compiuti tre giorni fa certamente è impresa non facile visto il suo pedigree artistico. Batterista per vocazione e non poteva essere diversamente visto che in famiglia la musica è sempre stata di casa, jazzista di classe raffinata, ha suonato con il gotha del jazz mondiale da Gato Barbieri a Enrico Rava fino alle vette lisergiche con Dexter Gordon e Chet Baker.
Ieri sera assecondando la mia bramosia di jazz, ho incontrato il Maestro nel Parco di Santa Maria della Pietà, in occasione della V° edizione del Festival Jazz Monte Mario dedicato a uno dei talenti del nostro jazz che ci ha lasciato troppo presto: Massimo Urbani sassofonista contraltista. Una rassegna organizzata grazie all’impegno fattivo del XIV Muncipio con in testa il Presidente Marco Della Porta e il Presidente della Commissione Cultura Pino Acquafredda.
La serata brillantemente condotta dal regista Pino Leoni, amico di infanzia di Massimo Urbani che ne ha ricordato il talento e l’estro, ha visto la partecipazione di tanti amici del geniale musicista. Tra loro Gigi Marziali (ve lo ricordate negli anni ’70 a Radio Rai la trasmissione Supersonic – Dischi a Mach 2?), Renato Marenco (coordinatore della storica rivista Ciao 2001), Luca Marino (Presidente dell’Associazione Mujiic nata nel 2013 per ricordare la figura e la musica di Massimo Urbani), la pianista Patrizia Scascitelli, Pasquale Innarella, Giorgio e Dario Rosciglione, Vittorio Cuculo, Andrea Zanchi, Il duo Nicolini l’attore Maurizio Mattioli e in chiusura di serata Maurizio Urbani Quintet per ricordare il legame inscindibile di Maurizio con suo fratello Massimo.
Durante la guerra a Napoli gli americani oltre la cioccolata e le stecche di Lucky strike portavano i dischi delle big band che furoreggiavano in America e quindi Glenn Miller, Benny Goodman Duke Ellington e tanti altri. Come è cominciata la tua iniziazione al jazz.
All’epoca avevo 8,9 anni e suonavo la claquette. Con i miei fratelli e mio padre formammo gli 8 Munari 8, poi quando arrivarono gli americani a Napoli iniziai a suonare la batteria. Avevo già 18, 19 anni e andai a suonare al circolo ufficiali della Nato e li mi accorsi di saperci fare perché lo swing quando ce l’hai dentro è come la capacità di riconoscere l’armonia o ricordare la melodia. Poi c’è da dire che la tradizione napoletana dei batteristi secondo me resta la migliore.
Quali sono stati i modelli di riferimento quando hai iniziato. Ti faccio una sequenza di nomi partendo dal più grande Kenny Clark maestro del bebop passando per Phille Jones, Max Roach, Billie Higgins e Art Taylor. Chi di questi ti ha più influenzato nel tuo percorso di crescita?
In verità il primo fu Shelley Man e poi a seguire tutti gli altri Roy Haynes, Max Roach, Elvin Jones e poi mi piacevano molto i batteristi delle grandi orchestre come Buddy Rich, Gene Krupa e e Lois Belson.
Attualmente è più facile fare jazz in Italia o all’estero e com’è oggi lo stato di salute del jazz in Italia?
Senza dubbio il livello generale è migliorato, non solo per i batteristi ma anche per i sassofonisti e i trombettisti. Di sicuro i tempi sono cambiati in meglio, lo studio ma bisogna anche dire che oggi ci sono più opportunità per suonare e questo migliora la qualità delle esecuzioni.
Quali sono i batteristi giovani e meno giovani che ti piacciono particolarmente e che segui con attenzione?
Amici e colleghi ai quali mi sono permesso di dare qualche suggerimento; “ragazzi” come Roberto Gatto, Fabrizio Spera, Lorenzo Tucci e Nicola Angelucci e poi tanti che vengono dalla scuola napoletana di mio fratello Pierino e di Tullio De Piscopo come Luigi Del Prete che non ha ancora 30 anni. Ma sono davvero tanti le giovani generazioni di batteristi che davanti a loro hanno un grande futuro.
Possiamo dire che negli ultimi anni la batteria per vari fattori a partire da quello tecnologico ha arricchito il suo ruolo all’interno della musica contemporanea ovvero c’è stata una crescita delle potenzialità espressive della batteria?
Possiamo vantare una grande scuola e sicuramente i giovani musicisti sono aiutati anche dalla rete che mette a disposizione filmati. Ai miei tempi potevo contare solo sull’ascolto del vinile di questi grandi batteristi americani con i quali ho fatto diverse tournée.
Sei sempre stato un batterista lontano dai funambolismi circensi preferendo un approccio diciamo più sobrio. Ti ritrovi in questa descrizione?
Io ho lavorato tutta la vita per creare un mio stile personale e quello che dico sempre ai giovani sforzatevi di trovare il vostro e crearvi dei fill personali senza scimmiottare o emulare qualcun altro. Purtroppo molti suonano tutti alla stessa maniera.
Hai raggiunto da pochi giorni la fatidica soglia dei 90 anni, proviamo a ipotizzare il futuro. Qual è l’idea o il progetto che vorresti portare a compimento, da qui a dieci anni?
Spero di vivere ancora due o tre anni (ride). La batteria è uno strumento impegnativo potrebbe sembrare usurante ma quando sono dietro tamburi e piatti non sento nessun fastidio, passata l’adrenalina inizio un po’ a traballare.
Sei consapevole di essere una delle icone del jazz italiano di sempre?
Beh ringrazio il Presidente Mattarella che mi ha concesso pochi giorni fa la prestigiosa onorificenza di Ufficiale dell’Ordine al Merito della Repubblica Italiana e per questo ringrazio Stefano Di Battista. Per me rappresenta il coronamento di una lunga carriera iniziata quando ero un ragazzino a Napoli e se devo dirla tutta, quel ragazzino è ancora qui ancora pieno di entusiasmo e voglia di divertirsi con tanti amici.
All’orizzonte lo vedi un altro Gegè Munari?
Mi piacciono molto Luigi Del Prete ed Elio Coppola, uno dei migliori batteristi del panorama jazzistico con il suo trio, tra l’altro batterista del mio amico Stefano di Battista.
Foto di @Pino Alberto Sturniolo