Attraverso un viaggio tra culture, simboli e visioni oniriche, l’esposizione racconta il senso di appartenenza fluido e in continua evoluzione che caratterizza la sua opera.
di Elisa De Ros
Dal 23 novembre 2024 al 30 marzo 2025, il piano nobile del Palazzo delle Esposizioni di Roma ospita Francesco Clemente. Anima nomade, una mostra curata da Bartolomeo Pietromarchi che riunisce in modo straordinario la serie Tends realizzata nel 2013 e presenta l’opera temporanea dei wall paintings Oceano di Storie dipinta in situ.
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Il percorso espositivo si snoda attraverso le opere di Clemente in modo non lineare e senza soluzione di continuità, configurandosi come una vera e propria “grande installazione”. L’artista, di origine napoletana, si trasferisce a Roma negli anni ‘70 per studiare architettura, entrando in contatto con il fervente ambiente artistico della città e conoscendo diversi artisti tra cui Alighiero Boetti. Dopo il trasferimento a New York negli anni ‘80, inizia il suo viaggio da nomade, alla scoperta di vari paesi orientali, tra cui l’India e la cultura buddista, che lo affascinano profondamente.
Formatosi come autodidatta, Clemente sperimenta diverse tecniche artistiche nel corso degli anni, senza porre limiti ai propri mezzi espressivi.
Al centro del complesso espositivo, la serie Tends realizzata tra il 2013 e il 2014 rivela, con una forte componente autobiografica, l’immaginario simbolico, spirituale e personale dell’artista. Le sei tende esposte, ognuna dedicata a una tematica specifica, si configurano come “rifugi per nomadi”, trovando un modo di abitare senza confini attraverso l’arte. Un vero e proprio lavoro di fantasia, una proiezione di un luogo sicuro, un rifugio edificato dalle immagini che popolano la mente dell’artista.
L’idea di “arte ambientale”, che caratterizza molta della ricerca artistica a partire dagli anni ‘50, assume qui una connotazione differente. Clemente propone una sua originale e fortemente autobiografica concezione di ambiente, invitando lo spettatore a mettere in gioco la propria immaginazione.
A differenza delle tende realizzate negli anni ‘60 da artisti dell’Arte Povera come Carla Accardi, Gilberto Zorio e Mario Merz, che proponevano spazi abitabili all’interno degli spazi espositivi, le tende di Clemente offrono uno spazio abitabile fortemente connesso alla concezione di anima nomade. Lo spettatore non abita un ambiente qualsiasi, ma un luogo di trasformazione, di molteplicità culturale e di una geografia globale.
All’interno delle tende, l’assenza di luce richiede qualche istante di adattamento per riconoscere ciò che si trova davanti. Questa scelta contribuisce a ricreare l’effetto di una scoperta graduale dell’immaginario dell’artista. L’assenza di illuminazione interna rispecchia la volontà dell’artista di mantenere un effetto il più “reale” possibile dell’esperienza di entrare in una tenda. Le immagini dipinte sulle pareti interne si ispirano a iconografie di luoghi sacri come le grotte dei Mille Buddha a Dunhuang in Cina, le grotte di Ajanta ed Ellora in India e altri spazi e luoghi sacri di meditazione.
Circa a metà del percorso ad anello che circonda l’ambiente centrale dell’esposizione, si trova una sala con dodici bandiere triangolari, appese in alto rispetto allo sguardo dell’osservatore. Realizzate nel 2014 in India con la collaborazione di artigiani locali, le Bandiere sono dipinte su entrambi i lati. Su un lato presentano immagini e volti, mentre sull’altro lato troviamo citazioni dall’opera di Guy Debord La società dello spettacolo, che riflette sulla percezione della realtà nell’era dei consumi. Con quest’opera, Clemente intreccia letteratura e pittura per creare un significato che si compie attraverso l’uso di entrambe.
In due sale, sono esposti i wall paintings, realizzati direttamente sulle pareti del museo. La sanguigna che crea i contorni dell’opera e il colore “rosso sangue di bue” evocano un legame con la terra, rimandando visivamente a un immaginario americano dei granai dipinti di rosso e alla storia della deportazione e dello sterminio delle popolazioni indigene in Oklahoma. In quest’opera, Oceano di storie, la pittura si espande e copre lo spazio della galleria, annullando l’ambiente precedente e facendosi essa stessa ambiente. Se nei lavori precedenti era lo spettatore ad abitare lo spazio dell’opera, qui la dimensione ambientale evolve ed è l’opera stessa ad abitare lo spazio del museo.
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Queste pitture murali sono state realizzate con il fine di essere distrutte a opera compiuta. Un altro aspetto di cui Clemente è debitore all’Arte Povera è la natura effimera dell’arte, la sua caducità, la sua precarietà. Con quest’opera, Clemente sottolinea un altro aspetto dell’anima nomade, il suo raro contatto con la permanenza delle cose che la circondano. Come il mondo che circonda l’anima nomade, quest’opera sopravvivrà solo nei ricordi dello spettatore. In questo modo, Clemente riesce a uscire dallo spazio espositivo del museo, creando un effetto che perdura nell’anima degli spettatori: la consapevolezza che quello che hanno visto non rimarrà e ha costituito un panorama unico nella loro esperienza.
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Francesco Clemente Anima Nomade a cura di Bartolomeo Pietromarchi – Mostra promossa da Assessorato alla Cultura di Roma Capitale e Azienda Speciale Palaexpo, prodotta e organizzata da Azienda Speciale Palaexpo – Palazzo delle Esposizioni dal 23 novembre 2024 al 30 marzo 2025
Foto di copertina: Tenda del diavolo, 2013-2014 (particolare, interno) | Tempera su cotone, ricamo, cuciture a mano, pali di bambù, finali in legno, corde, pesi in ferro, cm 600 x 400 x 300. Collezione dell’artista. Courtesy Francesco Clemente Studio