Miglior regia, Miglior drammaturgia, Migliori ruoli di attrice e di attore. Man bassa di riconoscimenti per le Fonès di Luca Trezza e Francesca Muoio. Uno studio di spettacolo che ha messo d’accordo tutti, spettatori e critica, alla quarta edizione del Festival Indivenire, ospitato dal 17 al 29 gennaio allo Spazio Diamante di via Prenestina, a Roma. Un’iniziativa, lanciata nel 2017 da Alessandro Longobardi e con la direzione artistica di Giampiero Cicciò, che è abile a individuare e valorizzare lavori teatrali inediti, senza limiti di linguaggio e genere.
Formula che funziona anche a giudicare dalla numerosa partecipazione del pubblico e dalla qualità delle produzioni presentate in concorso. L’alto livello generale avvalora ancor più il risultato “netto” che ha premiato il duo campano, attivo da diversi anni sulla scena con progetti focalizzati soprattutto sul teatro di ricerca. Il cappello è quello noto di Formiche di Vetro, associazione attiva nell’area capitolina anche nella formazione di nuovi talenti.
Ma veniamo a “Fonès”, messa in scena che ha incuriosito tutti a partire dal titolo. Fonès è una parola di origine greca, in uso nella lingua napoletana, per indicare le Voci che provengono dal fondo, dal profondo sia dei personaggi che degli autori-attori. Dalle interiora e dalla bocca dei due interpreti – Trezza e Muoio hanno condiviso scrittura, regia, scene e recitazione – escono le Voci di Napoli, caleidoscopio di umanità, centrifuga di stati emotivi, cocktail di naturale e soprannaturale. Esoterico e magico, dai bassifondi ai padroni dell’azzurro cielo. Fonès sono le crepe, le fenditure di una gabbia che è mondo e dove accade di tutto.
I due attori si muovono in orizzontale, all’interno della gabbia, ciascuno seguendo il proprio binario. Una strada a senso unico alternato. Al cui interno accadono fatti, si raccontano diverse storie. Trezza e Muoio usano l’idioma partenopeo e disegnano un Sud del mondo che è entusiasmo e disperazione insieme. Ora per la scoperta, ora per la delusione, la condanna e fors’anche la redenzione. Personaggi semplici e miserie quotidiane, scalate e illusioni di riscatto. Sempre in bilico tra verità e menzogna, sfondo dai toni tragici che poi ruota e si fa magia, versi e parole di volatili disposti a tutto per amore.
L’espressività è totale e anche corporea, le Voci emergono dai movimenti del bacino, dall’ondeggiare delle braccia, e per il mezzo della parola diventano musica. Note che empiono l’aria, i vicoli della Capitale del Regno, fitta rete di intrecci e tensioni, affaccio libero sul mare dei pensieri. “Un quadro astratto contemporaneo”, si legge nella sinossi dello studio, che si arricchirà di altre storie e che, come disciplinato per i vincitori del Festival Indivenire, vedremo in scena integralmente sul palco del Diamante.
Foto di Matteo Berruto