di Miriam Bocchino
Si è svolto il 1° ottobre nella suggestiva cornice dello Stadio Palatino l’evento “Fede Laica e laicità nella fede”, del festival “Insieme”.
La rassegna nasce nel 2020 da un’idea di Letterature, Libri Come e Più libri più liberi con l’intento di restituire agli appassionati di letteratura un luogo di incontro, nonostante l’emergenza da Covid – 19.
“Fede laica e laicità nella fede” è stato introdotto dagli interventi del vicesindaco di Roma con delega alla cultura Luca Bergamo, dal Commissario Istituzione Biblioteche di Roma Vittorio Bo, da Lea Iandiorio e Andrea Cusumano, Curatori Letterature Festival.
Il rispetto e l’attenzione per il luogo, attraverso la ricerca e la cura e l’importanza di eventi culturali che possano consentire una riflessione sul presente sono stati ribaditi come concetti chiari ed essenziali che Insieme ha voluto perseguire in questa edizione.
Dopo i saluti istituzionali la serata ha avuto il suo inizio con l’opera “ODE LAICA PER CHIBOK E LEAH” dei registi Andrea Cusumano e Fabrizio Arcuri.
Lo spettacolo, tratto dall’omonimo libro del Premio Nobel per la letteratura Wole Soyinka, presente in sala, è stato interpretato da Moni Ovadia (attore, cantante, musicista e scrittore italiano) e da Esther Elisha (attrice italiana), che, con l’ausilio delle allieve della scuola di recitazione del Teatro Azione e del Centro Internazionale La Cometa, hanno dato voce ai versi dello scrittore.
“Ogni istante di vuoto garantisce spazio alla boria degli dèi.”
Il testo di Soyinka, pubblicato nel maggio 2019 dalla casa editrice Jaca Book, ricorda tutti coloro che hanno detto no: da Mandela quando si rifiutò di uscire dal carcere, alla giovane Malala, sfregiata ma non ferita a Leah Sharibu, una delle ragazze rapite da Boko Haram nel 2014 che non rinunciò alla sua fede. Da quest’ultimo episodio lo scrittore, attraverso la voce di Moni Ovadia, si interroga sul male che si insinua in ogni luogo del mondo. Chibok e l’Africa, continente da cui l’autore è stato costretto a fuggire per una condanna a morte da parte della dittatura nigeriana, diviene il “posto ideale” per raccontare la disumanizzazione.
L’ode non è solo l’enunciazione del male ma, soprattutto, un anelito di speranza: speranza che proviene da chi ha detto no, nonostante la dittatura, le spose bambine, lo stupro nuziale, la lapidazione, il fanatismo e l’odio.
La speranza esiste nell’uomo che riesce ancora a essere umano, perché come scrive Soyinka nell’ode “la speranza si raduna in varie lingue sulla spiaggia di Tripoli” ed è “tanto un NO, quanto un AMEN”.
Il testo di Wole Soyinka, attraverso l’interpretazione sublime dei due interpreti, il coro delle allieve della scuola di recitazione, i movimenti scenici di Marco Angelilli e le musiche di Teho Teardo, riesce a consegnare agli spettatori l’importanza della resistenza, del coraggio e della speranza: “Survive, Leah. Forgive” (Sopravvivi, Leah. Perdona).
Alla conclusione dello spettacolo, gli spettatori hanno ascoltato i due interventi a opera di Wole Soyinka e Moni Ovadia. Entrambi hanno posto la riflessione sull’interrogativo “che cos’è umano?”.
L’autore nigeriano prendendo come esempio due suoi incontri, quello con l’arcivescovo Desmond Tutu che aveva lavorato per la Commissione per la verità e la riconciliazione in Sudafrica e con il sacerdote Trevor Huddleston, espulso dal Paese in quanto dichiarato persona non gradita per avere appoggiato la causa dei neri, ha affermato come la loro idea di essere umano, capace di cambiamento, nonostante sia ottimista, per lui è inaccettabile.
Il perdono, infatti, è generoso ma è qualcosa a cui non crede giacché ha asserito: “chi trasforma i bambini in macchine da guerra o in schiavi sessuali, chi viola l’infanzia in qualsiasi modo è andato oltre i limiti dell’umanità, regredendo nelle regioni inesplorate e innominate dei fenomeni primordiali.”
È necessario, quindi, per Wole Soyinka, ristabilire che cos’è umano e specificare che si è tale, non in quanto essere vivente, ma in base alle proprie azioni.
Moni Ovadia, traendo ispirazione dalle parole dell’autore, si è soffermato sulla questione palestinese e sulle violenze che ogni giorno il popolo subisce da parte degli israeliani. L’autore, di origine ebraica, si è chiesto, infatti, se la violenza patita dagli ebrei legittimi la stessa sui palestinesi.
Wole Soyinka e Moni Ovadia, successivamente, hanno dialogato tra di loro in un incontro moderato da Alessandra Di Maio.