Dall’acuta penna di Casiglia l’accusa alla libertà che genera sudditanza
La rappresentazione di Fausto (spettacolo scritto, diretto e interpretato da Alessandro Casiglia) è l’esempio più lampante di quanto sia ingrato ricoprire il doppio ruolo di regista e di attore. Sempre più spesso mi rendo conto che le giovani generazioni di teatranti sottovalutino questa impervia difficoltà. Vedere lo spettacolo con l’occhio dello spettatore non è lo stesso che sorvegliare l’allestimento con lo sguardo della propria immaginazione. Ci vuole una grande sapienza teatrale che i più giovani non possono aver maturata: non per incapacità (ci mancherebbe!), ma per ovvia scarsa esperienza.
Alessandro Casiglia – autore – dopo uno studio sicuramente appassionato del mito di Faust, s’è cimentato nel racconto di un personaggio che, preso dalla disperazione per essersi condannato a vivere in eterno (avendo egli stesso stipulato un patto con Mefistofele), guarda con occhi allibiti i progressi sociali del XX e del XXI secolo: parla di democrazia e di libertà che generano sudditanza, di pestilenze che creano spazio, di avvelenamenti petroliferi. Insomma, l’occhio critico di Fausto, che ci osserva con sensibilità mefistofelica, è assai acuto nel cogliere fallimenti e contraddizioni del nostro mondo senza Dio, senza Allah, senza più alcun faro morale.
Il Fausto di Casiglia è un uomo dall’animo consumato dal tempo che cerca, scorato, di togliersi il peso della vita diventato ormai una vera tortura. Piange la morte di Margherita, scomparsa già da qualche secolo, piange la sua solitudine per non aver amici, piange per essere costretto a vivere di nascosto, e piange per non riuscire a compiere l’agognato suicidio. Premessa, questa, che regala al testo e al protagonista un’aria sarcastica abbastanza decisa che già contiene la struttura di una regia, almeno per quella recitativa. Eseguita, in verità, con ottimo esito.
Non si mette nemmeno in dubbio che Casiglia scrittore abbia lavorato – a tavolino – insieme all’attore (e viceversa) scegliendo parole a lui più congeniali, ostici scioglilingua da sciorinare a velocità diabolica (sic!). C’è – è evidente – una forte collaborazione intellettuale tra l’ironia della scrittura e l’abilità della recitazione. Ma se Casiglia avesse avuto la possibilità di spiarsi, seduto in platea – da regista – avrebbe compreso che lo spettatore ha bisogno di alcune certezze, senza le quali potrebbe restare spaesato. Il rituale teatrale, per quanto possa essere stato stravolto in quest’ultimo decennio, mantiene vivi alcuni dogmi dai quali non si può sfuggire.
Fausto, nelle sembianze di Casiglia, assume una fisionomia estremamente fanciullesca: già questa dissonanza, inconsueta nell’immaginario collettivo, potrebbe insospettire. Il Doctor Faustus non è Dorian Gray, giovane, bello e attraente! Inoltre è vestito con abiti abbastanza anonimi (forse quelli che il Casiglia potrebbe usare quotidianamente) che non danno alcuna connotazione al personaggio, né temporale, né sociale. Il risultato è che si ha l’impressione di assistere a un bravo attore in prova più che alla prova di un bravo attore. La disperazione di Fausto potrebbe essere quella di un qualunque disoccupato, mentre invece egli ha una storia ben più complessa e affascinante: una sciagura intima – protetta da una scelta illuministica molto soffusa – che il testo contiene, ma che la regia ha offuscato, relegando il momento più alto della drammaturgia a un quadro già visto in precedenza, identico. Si tratta di un monologo e come tale dovrebbe vivere di stazioni sempre differenti. Ripetere, in questo caso, non giova; nemmeno al finale, che sembra rimanga sospeso, in attesa di un epilogo più autorevole. Sarà anche, probabilmente, per gli appena 40 minuti di spettacolo.
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Fausto, scritto, diretto e interpretato da Alessandro Casiglia. Al Teatro Trastevere, ancora questa sera, ore 21.00
Foto di copertina: Alessandro Casiglia Foto © Piero Tauro