Fabiana Di Segni ricorda nonna Fatina

Ritrovato un altro diario sulle atrocità della shoah

Soltanto per un gioco del destino arriva, con appena due giorni di ritardo dalla data dell’80° anniversario del 16 ottobre 1943, la presentazione del trailer del documentario di Mery Mirka sulla Storia di Fatina Sed, una bambina tredicenne che in quel periodo fu deportata ad Auschwitz e da lì fece ritorno alla fine della guerra. Il filmato intero non ci è stato mostrato e, per la verità, anche l’atteso trailer è stato proiettato dopo molte difficoltà tecniche, a causa di un dispettoso e persistente problema al sistema sonoro. In effetti, però, c’è da sottolineare che il trailer è stato piuttosto il pretesto per ricordare uno degli episodi più crudeli della storia moderna e contemporanea; per rinnovare ancora una volta, a una platea (Teatro Studio Gianni Borgna) gremita di ragazzi di più scolaresche che hanno ascoltato in ossequioso silenzio, il dramma che ha investito la comunità ebraica di Roma e gran parte della cittadinanza.

Il 16 ottobre 1943 è considerato il «sabato nero» del ghetto di Roma. Alle 5.15 del mattino le SS invasero le strade del Portico d’Ottavia e rastrellarono 1.024 persone, tra cui oltre 200 bambini. Quel sabato Fatina riuscì a nascondersi, insieme con sua sorella, ma poi, durante le successive retate, fu messa su un vagone e deportata al campo polacco di Auschwitz. Molto probabilmente, già durante la detenzione, sentì l’esigenza di scrivere un diario di quel che le stava accadendo. Trovò la forza e il coraggio per farlo, ma quei fogli le furono sottratti da un prete che incrociò lungo il viaggio di ritorno. Il prelato le disse che voleva leggerli, e che li avrebbe spediti egli stesso a Roma, a casa sua, ma a volte le promesse dei preti possono essere ancor più blande di quelle dei marinai. Fatina, i suoi scritti, non li rivide più. Tornata a casa, quel dolore e quelle ingiustizie subite in passato la spinsero, negli anni successivi, a riscrivere il diario perduto: altri fogli colmi di dolore, altre sofferenze segrete, ma senza mai raccogliere una parola di astio nei confronti dei carnefici, di chi le aveva strappato la sorella. Anzi, quando, a causa di un ictus che la colpì in vecchiaia, Fatina si fece curare da una fisioterapista tedesca. Scriveva di nascosto dai familiari, figli e nipoti, e fu vista soltanto una volta con la penna in mano. «Che stai scrivendo?», le chiesero. «Niente, niente. Ho buttato tutto», fu la risposta.

Fabiana Di Segni, nipote di Fatina Sed

Sua nipote, Fabiana Di Segni, ha raccontato questa storia, durante l’incontro che ha anticipato la visione del trailer e che, per la sua intensità, ha tenuto tutti con il fiato sospeso: qualcosa di misterioso, di onirico (più precisamente), avvolge la scoperta del nuovo diario di sua nonna. «Era già morta da dieci anni e mi venne in sogno…» Fatina le mostrava un armadio con della biancheria. Tutto qui. Ma tra le lenzuola, che nessuno ancora aveva toccato, Fabiana ha ritrovato il diario della nonna. Lo ha studiato profondamente, lo ha fortificato con i fatti storici per ricostruire le atrocità descritte e quindi lo ha sottoposto a Mery Mirka. Ne è nato un documentario. Una vita in più, storia di Fatina Sed.

«Ora siamo alla ricerca del vecchio manoscritto – spiega ancora la Di Segni certa che non sia stato bruciato – Sappiamo che molti documenti di quell’epoca sono stati segretati nelle biblioteche in Russia o in Polonia, oppure, secondo noi, in Vaticano». Opzione abbastanza probabile, visto che a carpirle è stato un prete!

Una nota a margine. Indubbiamente la storia di Fatina ci ha affascinato e il documentario si annuncia interessante e straziante, ma la lucidità degli approfondimenti su Auschwitz proposti da Fabiana Di Segni mette a tacere anche le false cerimonie che purtroppo si creano intorno alle commemorazioni della memoria, ormai diventate un remake delle edizioni precedenti. L’assessore capitolino alla Cultura, Miguel Gotor, infatti, rivela che in Comune esiste un Ufficio dedicato alla Memoria, ma non alla Storia. E allora Fabiana Di Segni, illuminata dall’immenso dono dell’onestà storica, fa notare che le istituzioni si ricordano, sì, delle deportazioni ebraiche – delle sofferenze del popolo rappresentato oggi da Fatina e da Liliana Segre, come ieri da Primo Levi – ma non accennano mai al fatto storico che «Auschwitz non rappresenta soltanto un dolore giudeo, ma anche quello di altre popolazioni, come gli zingari, di altri esseri umani considerati diversi, come gli omosessuali, i malati.» Perché, questo silenzio, ancora? Una sorta di ingiustizia nell’ingiustizia. L’applauso della platea è esploso forte e sincero. E perché, proprio in questi giorni, malgrado le tante Memorie trascorse, un altro anelito di odio nei confronti della popolazione ebraica si sta insinuando nelle viscere dell’uomo? «Secondo me, è nel dna della razza umana!», conclude Fabiana.

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Una vita in più, storia di Fatina Sed, documentario di Mery Mirka. Con Fabiana Di Segni. Festa del cinema di Roma, Teatro Studio Gianni Borgna (Auditorium, Parco della Musica)

Foto di copertina: Un’immagine storica delle deportazioni del 16 ottobre 1943