6 Agosto @ 21:00 – 23:30 CEST
Nuovo appuntamento per il 𝗙estival del Teatro Classico di Formia 2025, presso l’Area Archeologica di Caposele, mercoledì 6 agosto, alle ore 21,30, Adelchi, di Alessandro Manzoni, riduzione e regia Vincenzo Zingaro, con, Giuseppe Pambieri e Vincenzo Zingaro, e con, Annalena Lombardi, Giovanni Nardoni, Giovanni Ribò, Fabrizio Passerini, Francesco Polizzi, Piero Sarpa, Sina Sebastiani, Paolo Oppedisano. Musiche, Giovanni Zappalorto, ensemble musicale, Maurizio Trippitelli, percussioni sinfoniche, Debora Guerrini, tastiere, Francesca Salandri, flauto, Stefania Mercuri, corno inglese, Angelica Ziccardi, violino, Chiara Ciancone, viola, Eleonora Yung, violoncello, Stefano Marrone, direzione.
Un evento unico. Uno spettacolo-concerto per attori e orchestra che coinvolge gli spettatori attraverso una straordinaria fusione di parola e musica, facendoli addentrare nelle affascinanti vicende che hanno visto nascere, con Carlo Magno, il Sacro Romano Impero e che costituiscono le fondamenta dell’Europa. Adelchi è l’eroe romantico in cui Manzoni trasferisce i suoi sentimenti di giustizia, di solidarietà, di condanna delle guerre e di profonda fede. Per questa messinscena, realizzata la prima volta a Roma, ai Fori Imperiali nel 2009, Vincenzo Zingaro ha ricevuto dalla prestigiosa Societa’ Dante Alighieri, presso il Vittoriano, la Benemerenza per l’Arte e la Cultura italiana, con medaglia d’Oro.
NOTE DI REGIA
Dieci attori e otto musicisti, con Giuseppe Pambieri (Re Desiderio) e Vincenzo Zingaro (Adelchi) coinvolgeranno il pubblico attraverso una straordinaria fusione di parola e di musica, facendoci addentrare nelle affascinanti vicende che hanno visto nascere, con Carlo Magno, il Sacro Romano Impero e che costituiscono le fondamenta dell’Europa. Adelchi è l’eroe romantico in continua lotta fra ideale e reale, fra sentimento e ragione, fra aspirazione e dovere. Egli è l’uomo nuovo in cui Manzoni trasferisce i suoi sentimenti di giustizia, di solidarietà, di condanna delle guerre e di profonda Fede.La scelta dell’Adelchi costituisce l’occasione per riassaporare una delle pagine più importanti della nostra letteratura, il capolavoro tragico di uno dei padri della nostra lingua, la più alta manifestazione del teatro romantico italiano. Scritta dal Manzoni, tra il 1820 e il 1822, la tragedia ci permette di addentrarci nelle vicende travagliate e oscure di quell’affascinante periodo storico che ha visto sorgere, con Carlo Magno, l’alba del Sacro Romano Impero e che costituisce le fondamenta dell’Europa. Vicende che vedono, nell’Italia dell’VIII secolo, il succedersi di due popoli, i Longobardi e i Franchi, sotto il cui dominio si trascina il popolo latino come un “volgo disperso che nome non ha”, nelle quali l’Autore trasferisce tutto il sentimento risorgimentale del suo tempo. Un sentimento cosi vibrante che, prima della sua pubblicazione, avvenuta nel novembre del 1822, l’opera fu sottoposta dalla censura austriaca a una mutilazione del celebre I Coro (“Dagli atri muscosi…”). Questa ricchissimo fondamento storico e politico ore al Manzoni la possibilità di liberare tutta la sua immaginazione in un tessuto lirico di altissima levatura. Sua intenzione, come espressamente dichiara, è quella di cercare quell’intimo senso taciuto dalla storia, che solo la poesia può rivelare: “tutto ciò che la volontà umana ha di forte e di misterioso e la sventura di religioso e profondo”. Quel senso appartiene alle anime nobili e giuste, in continua lotta fra ideale e reale, fra sentimento e ragione, fra Bene e Male: eroi romantici, portatori di un’esistenza sofferente. Fra questi il personaggio di Adelchi, “inventato di pianta, e intruso tra i caratteri storici”, a cui il poeta a‑da tutta la sua idealità, rendendolo la proiezione letteraria delle sue stesse aspirazioni morali, arricchendolo di una sensibilità e di uno spessore che nell’Adelchi storico sono irrintracciabili. Egli è l’uomo nuovo che incarna i sentimenti di amor patrio, di giustizia sociale, di solidarietà e di condanna delle guerre. Pur valente condottiero, designato a continuare l’opera di espansione del suo regno, Adelchi sente tuttavia di non essere nato per questo, ma non può sottrarsi al pesante incarico dinastico. La sua aspirazione è quella di regnare col consenso, con la concordia, respingendo il rigido impero fondato unicamente sulla forza e sulla violenza. Respinta dal padre, re Desiderio, la sua visione romantica, l’eroe confida all’amico Anfrido la tormentata condizione in cui versa: “strascinato vo per la via ch’io non mi scelsi, oscura, senza scopo; e il mio cor s’inaridisce, come il germe caduto in rio terreno, e balza to dal vento…”. Ma non può sottrarsi al suo dovere. Ferito in battaglia, a‑da la sua anima a Dio: la morte svela il grande mistero della vita che non ripone i suoi valori nel temporale, ma nell’eterno, dove orgoglio, violenza e vendetta sono nulla. Di fronte ad Adelchi morente, lo stesso Desiderio riconosce di aver sbagliato ad ostinarsi in una guerra ingiusta e, persino il vincitore, il grande Carlo, non può fare a meno di mostrare assoluto rispetto: “Adelchi è signor qui”. Adelchi e la voce appassionata della nostra coscienza, la trasposizione poetica del travaglio che c’è in ognuno di noi, l’incarnazione di una prospettiva diversa: “sori e sii grande”. Manzoni non ideò le sue tragedie perché venissero rappresentate, ma per la lettura, in quanto, come egli stesso ebbe a dire: “… la tragedia da recitarsi sarebbe incapace di quel grado di perfezione, a cui può arrivare la tragedia, quando non si consideri che come un poema in dialogo, fatto soltanto per la lettura, del pari che il narrativo…” In effetti l’azione dell’ADELCHI è tutta nella “parola”: i personaggi descrivono e raccontano tutto, ciò che avviene intorno e ciò che avviene dentro di loro. E lo fanno attraverso una parola che è sempre evocativa, suggestiva, volta a creare continuamente un livello di “lettura superiore” rispetto al mero racconto dei fatti. Per questo ho scelto di rappresentare l’opera in forma di Lettura-Concerto, come un Melologo, in cui ogni attore diventa “strumento” all’interno di una partitura orchestrale, cercando una suggestiva commistione di parola e musica. Non a caso, con il termine mousikè i Greci indicavano non solo l’arte dei suoni, ma anche la poesia e la danza, come a sancirne l’indissolubile legame. Dei 2100 versi originali, ne verranno letti circa 1000, tanto da mantenere il tessuto narrativo nella sua interezza. Spero che questo spettacolo, frutto di un’inguaribile passione, possa offrire un piccolo contributo per scalfire quell’indifferenza che sta condannando all’oblio capolavori fondamentali della nostra cultura.
LA STORIA
Siamo nel 772, in un’Italia divisa: a nord i Longobardi, a sud l’impero bizantino, al centro lo Stato della Chiesa. L’ostilità tra Desiderio (re dei Longobardi) e Carlo (re dei Franchi) risale alla guerra tra i loro predecessori, Astolfo e Pipino il Breve, a causa delle terre indebitamente sottratte dai Longobardi al Papato, a protezione del quale erano intervenuti vittoriosamente i Franchi. I matrimoni delle figlie di Desiderio, Ermengardae Gerberga, con Carlo e con il fratello Carlomanno, non riescono a pacificare le parti. Morto Carlomanno, Gerberga e i suoi due figli, esiliati, si rifugiano presso la corte longobarda, a Pavia. Ermengarda viene ripudiata da Carlo. La tragedia si apre, appunto, con il commovente ritorno della sventurata a Pavia, presso la corte paterna. Da parte sua, Desiderio continua a rifiutarsi di restituire le terre al Pontefice. Suo figlio Adelchi, combattuto tra la fedeltà ai doveri familiari ed il sentimento di giustizia, vorrebbe rifiutare quella guerra. Suo padre, deciso invece alla guerra contro Carlo, pensa di far incoronare re dei Franchi i suoi due nipoti. La prospettiva di uno scontro perdente con il nemico d’oltralpe induce diversi duchi longobardi, capitanati dall’ambizioso Svarto, a progettare il tradimento. Le Chiuse di Susa impediscono all’esercito dei Franchi di attraversare le montagne: la guerra è in stallo. Ma il diacono Martino, inviato a Carlo dal vescovo di Ravenna, scopre, guidato dalla mano divina, un sentiero misterioso, che permette di varcare, attraverso una natura di sublime, terribile bellezza, le montagne. Qui passeranno i Franchi, mettendo in fuga i capi longobardi, che si chiudono nelle città lombarde con i pochi vassalli rimasti fedeli. La vittoria dei Franchi suscita ingiustificate speranze di libertà nei Latini, che, tuttavia, resteranno schiavi dei nuovi padroni, perché privi dell’orgoglio di sentirsi “popolo”: sono ancora “un volgo disperso che nome non ha”. Intanto nel convento di Brescia, assistita dalla badessa, la sorella Ansberga, Ermengarda, ancora prigioniera del suo “amore tremendo” per Carlo, esala l’ultimo respiro. Tradito dai difensori di Pavia, Desiderio è fatto prigioniero. Adelchi tenta un’ultima sortita, ma viene mortalmente ferito e muore davanti al padre e a Carlo, entrambi commossi dal valore e dalla nobiltà d’animo dell’infelice eroe.